Morte Prematura

di Emiliano Angelini
Vincitore del voto on line dei naviganti del sito di RiLL


Vibrazioni. Fanno salire la mia tensione.
Il terreno appare liscio, ma è imperfetto. Il brontolio sordo di un motore.
La strana sensazione di viaggiare su questi veicoli di terra. Risveglia ricordi di quand’ero bambino: allora, mio padre aveva ancora uno di questi mezzi. Era già un pezzo d’antiquariato. La sua “carretta”, così l’aveva sempre chiamato. Doveva essere ancora nel vecchio magazzino fuori città, a marcire tra la ruggine. Dopo la morte di mio padre, l’ho lasciato in completo stato di abbandono. Forse, in fondo, ne avevo sempre avuto paura.
L’automobile sta per entrare in città. Un colosso di cemento e luci, con i suoi enormi edifici tempestati di punti luminosi, che oscurano la vista del cielo.
Il traffico si fa intenso. L’autista è costretto di continuo a dure frenate che mi sballottano all’interno dell’abitacolo. Non capisco come facciano. Ogni svolta nasconde un’insidia, la visuale è talmente limitata da far rischiare un incidente ad ogni incrocio. Bisogna stare all’erta. L’autista però appare tranquillo. Non riesco mai a vederlo in faccia, ma fischietta in maniera fastidiosa sulle note di una canzone che stanno trasmettendo alla radio: How to disappear completely, una canzone di diversi decenni fa. È curioso, io possiedo il disco dov’è contenuta. Un pezzo rarissimo, e ho fatto carte false pur di averlo. Perché? Che ci sia un legame?
Ci stiamo avvicinando al palazzo del Senato. Scorgo piccoli gruppi di persone sparpagliati sull’enorme piazza. Qualcuno nota l’automobile. Sembrano rispondere a un richiamo e si avvicinano, si stringono intorno al veicolo. L’autista continua a fischiare e il suono diventa un sibilo acuto e stonato che sembra distorcere la melodia della canzone. La mia inquietudine aumenta.
“Che succede? Perché queste persone sono qui?”
L’autista sembra non accorgersi della mia voce. Fuori, sono sempre di più.
Gli afferro la spalla. “Questo veicolo è blindato, vero?”
Finalmente, l’uomo si volta per rispondermi. Viso e sguardo da duro, la sua mascella quadrata incornicia un sorriso professionale. Lo conosco?
“Certo, signore, non si preoccupi. Nessuno si farà male.”
Detto ciò, arresta la macchina, ormai completamente circondata da quella che è diventata una folla urlante, e scende chiudendosi la portiera alle spalle. Capisco di essere bloccato all’interno. La gente attorno grida con rabbia. Alcuni recano strane insegne raffiguranti una spada che trafigge una croce, altri, scritte inneggianti alla guerra di purificazione.
Sono paralizzato dal terrore. Solo ora realizzo che l’autista, scendendo, ha lasciato un piccolo oggetto metallico sul sedile. È una bomba, lo so. Nella mia mente attanagliata dal panico un pensiero beffardo si fa strada: blindata, nessuno si farà male, all’esterno.
Uno scatto. La bomba esplode…


Jesus Moro si alzò con un balzo dal letto.
Aveva il fiato grosso e il corpo madido di sudore. Impiegò qualche istante per rendersi conto di trovarsi a casa sua.
Ancora quel sogno. Sempre lo stesso, da quarantotto anni. Era cresciuto insieme a lui. Nonostante i tentativi fatti, non era mai riuscito a estirparlo dalla sua testa. Psichiatri, strizzacervelli vari, persino le sonde telepatiche avevano fallito.
Il passato. Qualcosa del passato, qualcosa nel passato lo tormentava. Era senza dubbio così ma… l’architettura, i veicoli di terra, erano tutte cose di un tempo alquanto lontano. Un tempo che però non gli apparteneva.
Guardò nel buio, oltre l’ampia vetrata. La notte, lì fuori, probabilmente lo vide, ma proseguì indifferente.


Seduto nel suo ufficio al Ministero degli Esteri di Brasilia, la capitale della Confederazione Sudamericana Unita, Moro si sentiva ancora scosso. Aveva annullato tutti gli appuntamenti della mattinata e aveva avvisato la sua segretaria di non far passare nessuno. Voleva rimanere in pace per un po’. Era stato così vivido, così… reale, quella notte. Non sempre lo era: a volte, le immagini erano come offuscate, altre, il sogno s’interrompeva dopo pochi istanti. In effetti, era arrivato alla scena della bomba in pochissime occasioni. Accese il computer per dare una scorsa alla posta in arrivo. Avrebbe voluto smettere di pensare a quella notte, doveva cercare di tenere il cervello occupato in altre attività. Vide che c’era un messaggio con priorità assoluta: una convocazione. Il Vice Ministro voleva parlargli con urgenza.
La tranquillità era già terminata.


“Buon pomeriggio, Jesus. Venga, si accomodi pure.”
Gomes Da Costa lo accolse nel proprio ufficio con una rapida stretta di mano. Era un uomo alto e sottile, sui sessantacinque anni, vestito in un impeccabile completo in grigio. Si diceva li facesse giungere direttamente dall’Italia.
Jesus notò come, nonostante la solita cortesia nell’accoglierlo, il suo ospite sembrasse preoccupato. Imbarazzato, forse. Da Costa, infatti, abbozzò un goffo sorriso, girò intorno alla sua scrivania senza sedersi e tornò nuovamente di fronte a lui.
Moro decise di rompere gli indugi: “Cosa c’è, Gomes? Se non le dispiace vorrei arrivare subito al sodo: allora, di cosa si tratta?”
Il sorriso del Vice Ministro si afflosciò in una smorfia, l’uomo si voltò e, stavolta, andò ad accomodarsi dietro la scrivania.
“No, certo che non mi dispiace. Anzi, tutt’altro. Debbo confessarle che ciò per cui lei è stato convocato mi mette in seria difficoltà. Ma sto eseguendo degli ordini, Jesus, mi creda, non posso fare altrimenti.”
I due rimasero in silenzio per alcuni istanti. Si guardavano l’un l’altro con espressione greve. Si conoscevano da diversi anni e avevano affrontato insieme diverse missioni diplomatiche, alcune delle quali erano risultate particolarmente ardue e pericolose. Ma, mentre osservava Da Costa riordinare i pensieri, Moro ebbe l’impressione che, di qualunque cosa si trattasse, questa missione sarebbe stata diversa dalle altre. E per nulla piacevole. La sensazione sgradevole riportò nuovamente il pensiero a quella notte.
Che c’entri qualcosa il mio sogno?, pensò.
“Dunque, Jesus, lei conosce certamente il Presidente Filippounis.”
“Beh, l’ho incontrato un paio di volte in occasioni informali…”
“Sapeva che, a dispetto del cognome di richiamo europeo, ha origini messicane?”
“No, veramente no.”
“Lo ha nascosto bene, non c’è che dire. E questo perché egli, da lungo tempo, cova in segreto una… diciamo bizzarra ambizione. Come ben sa, agli inizi del XXI secolo, il governo Holden, prima di essere spazzato via dagli scandali e dalla conseguente rivolta popolare, cavalcò quella campagna violenta e razzista che portò all’invasione del Messico da parte degli Stati Uniti.”
“Sì, certo. Fu una cosa spaventosa. Ho visionato parecchi filmati dell’epoca, una tragedia senza precedenti.”
“Proprio così. Solo a Città del Messico si contarono più di sette milioni di vittime. Ebbene, questo è il sogno di Filippounis: evitare quell’ecatombe!”
Moro balzò in piedi. “Ma ciò è impossibile! E come intenderebbe farlo?”
Sta succedendo, pensò. Il XXI secolo. Maledizione, sta succedendo adesso, ed io non so cosa fare per impedirlo. “Il passato è già scritto, immodificabile. Altrimenti noi non potremmo essere qui a parlarne. Nel momento stesso in cui iniziassimo a pensare di cambiarlo, rischieremmo di vivere in un presente differente. E poi la teoria di Parsons espone chiaramente…”
“La teoria di Parsons sull’immodificabilità del passato” lo interruppe Da Costa “non è ancora pienamente dimostrata. Comunque, Jesus, personalmente sono d’accordo con lei. Anch’io sono dell’idea che ogni tentativo sia del tutto vano. Ed è anche per questo che l’ho chiamata.”
Moro piegò un poco la testa, guardandolo con aria interrogativa.
“Non mi fraintenda. Come le ho già detto, sto solo eseguendo degli ordini. È stato il Presidente in persona che, in base alle schede personali, ha scelto lei. Quello che intendo dire è che io non ho potuto rifiutare di parlarle.”
Io, proprio io, pensò Moro. Adesso, forse, mi pare di averlo sempre saputo.
Da Costa si avvicinò e gli batté una mano sulla spalla. “Amico mio…”


Sarebbe partito la sera stessa. La Macchina lo avrebbe trasferito nel 2022, in una base segreta fuori città. Una volta giunto lì, un velivolo lo avrebbe condotto al luogo dell’appuntamento con un senatore del partito d’opposizione a Holden. Gli avrebbe consegnato documenti comprovanti la corruzione del Governo e le conseguenze della sua politica oltranzista. Avrebbe dovuto persuaderlo ad agire il più in fretta possibile, limitando comunque all’indispensabile l’utilizzo e la diffusione di notizie e immagini del futuro. Secondo le previsioni del Presidente, ciò avrebbe portato alla caduta del Governo Holden nell’arco di due mesi, scongiurando così la guerra.
Avrebbe dovuto studiare le carte durante il viaggio nel tempo, dunque aveva circa dieci ore. Al suo arrivo, sarebbe stato contattato da un agente, un certo Lawyer, un americano del 2022 ingaggiato dai Servizi Segreti per aiutarlo a muoversi in quell’epoca.
Si sentiva confuso e intorpidito, stava accadendo tutto troppo in fretta, non riusciva a riflettere con sufficiente lucidità. Guardò negli occhi di Da Costa.
“Ho un’alternativa a ciò che mi state proponendo? Posso rifiutare? Mi dica la verità.”
Il Vice Ministro ricambiò il suo sguardo. “No. Le posso solo dire che il suo rifiuto equivarrebbe a una condanna. Uomini di fiducia del Presidente hanno già ricevuto ordini precisi.”
“Dunque non ho scampo. È così? Perché lei sa già tutto, vero?”
Da Costa mosse il capo con un cenno d’assenso. “Sì, è così. Ma mi creda, Jesus, per quanto possa sembrarle assurdo, andare nel passato, per lei, è l’unico modo di assicurarsi un futuro.”


Moro era andato via già da qualche minuto. Da Costa si lasciò cadere sulla morbida poltrona della sua scrivania e trasse un profondo respiro.
Non poteva sapere come si sarebbe svolto quell’incontro, ma ne conosceva l’esito in anticipo.
Riprese a sfogliare il rapporto degli Ispettori Temporali.
“Moro, Jesus (Curitiba, Brasil 2055 - Washington D.C., USA 2022), Funzionario del governo della Confederazione Sudamericana Unita. È considerato il primo caso ufficiale di morte prematura, come viene definita da allora la morte in data antecedente la nascita…
…successive indagini rivelarono che, a tradirlo, fu il suo contatto all’epoca della missione, J. Lawyer, che, successivamente, assunse un’alta carica all’interno del governo Holden e, pochi mesi dopo, fu protagonista di un suicidio dalla dinamica sospetta…”


L’elicottero perdeva quota.
“Perché stiamo scendendo? Non siamo ancora in città” urlò Moro per far salire la sua voce oltre il frastuono del rotore. Si sentiva nervoso, non era mai salito su uno di quei velivoli. Nella sua epoca erano considerati ormai pezzi da museo.
“È un diversivo. Ci hanno sicuramente visto partire, ci sono spie del Governo dappertutto, sa?”
“Ma è sicuro, allora, che non ci stiano seguendo?”
Jude Lawyer non rispose e rivolse dei gesti al pilota, indicando il punto preciso dove atterrare.
Scesero su un prato accanto alla strada e Moro fu accompagnato sino a un’automobile parcheggiata nelle vicinanze.
“Bene, da qui procederà da solo. Noi la seguiremo dall’alto per controllare che tutto vada come previsto. Ci rivedremo al palazzo del Senato. Non abbia paura, questo mezzo è sicuro e l’autista ha già ricevuto tutte le istruzioni del caso. Sa esattamente cosa fare. Buona fortuna.”
Un uomo robusto scese dall’automobile e aprì lo sportello del passeggero. Il suo sorriso era freddo e professionale.
Moro, vedendolo, trasalì.
“Già, e farà tutto nel migliore dei modi. Ne sono sicuro” aggiunse tristemente. “Jude… Se li goda quei denari.”
Lawyer lo guardò salire sulla vettura sentendosi stranamente a disagio.


L’automobile partì con un brontolio sordo.
Ora capisco. Quelle immagini non potevano essere cancellate dalla mia mente poiché non erano sogni. Ma ricordi.
Trentatré anni ed io rinascerò, e sarà tutto come prima. Sognerò, in qualche modo mi ricorderò di tutto ciò. Finché sarò di nuovo mandato a morire. E il ciclo si ripeterà ancora. Da Costa aveva ragione: avrò di nuovo un futuro.
Quante volte sarò già stato qui?

Gli venne voglia di chiedere all’autista quante volte lo aveva già ucciso.
Ma non può saperlo, la sua curva temporale è e sarà sempre diritta e continua. Mi ucciderà sempre per la prima volta.
Tentò di assumere un tono deciso. “Autista, mi ascolti.”
Gli occhi dell’uomo cercarono Moro attraverso lo specchio retrovisore.
“Tra pochi minuti la radio trasmetterà una vecchia canzone dei Radiohead.”
Avrebbe desiderato rimanere calmo, solo quello ormai, ma sentiva già il panico serpeggiare sotto la sua pelle.
“La prego, eviti di fischiare.”

Vibrazioni. Fanno salire la mia tensione.
Il terreno appare liscio, ma è imperfetto…

 


Emiliano Angelini vive a Pescara, dove è nato nel 1971.
Bancario, è appassionato di cinema, filatelia, musica, e ovviamente ama molto leggere.
Con i suoi racconti ha partecipato a svariati concorsi letterari, giungendo spesso in finale.
Ha vinto due volte il Trofeo RiLL: nel 2001 con “Bogey” (anno in cui giunse anche terzo, con
L'immagine riflessa”) e nel 2002 con “L’ultimo giorno buono dell’anno”. Il suo “Morte prematura”, finalista al IX Trofeo RiLL, è stato il racconto preferito dai naviganti del sito di RiLL dell’estate 2003.
È stato inoltre fra gli autori vincitori di SFIDA, altro concorso bandito da RiLL, nel 2006 (con “Liberaci dal Male”), nel 2008 (con “Memorie dalla sabbia”) e nel 2011 (con “Le cose che perdemmo nel fuoco”), tutti usciti nelle rispettive antologie “Mondi Incantati”.
Nel 2011 RiLL ha curato la sua prima antologia personale, Memorie dal Futuro (ed. Wild Boar), che contiene sia racconti premiati al Trofeo RiLL e SFIDA sia testi inediti.



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