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Introduzione al gioco di ruolo fantastorico I Cavalieri del Tempio.
di Franco Cuomo
[pubblicato su RiLL.it nel luglio 2007]
La riproposta (da parte della casa editrice Rose and Poison) di un gioco di ruolo sui Templari, che ebbe notevole fortuna a suo tempo, quando erano ancora in pochi a parlare del Tempio e pochissimi a conoscerne la storia, richiede oggi una notazione informativa, che si risolve in pratica in una domanda: perchè tanto interesse intorno a un ordine cavalleresco estinto sette secoli fa?
Da un punto di vista ludico, per quanto riguarda il gioco, si capisce: perchè si tratta di una delle più enigmatiche tragedie d’ogni tempo, di una spy-story medievale con risvolti moderni, nella quale s’intrecciano riferimenti ai grandi miti del Graal e della Sindone, all’avidità incontenibile di sovrani senza scrupoli, all'insanabile rivalità tra gli ordini cavallereschi che si erano contesi il primato sul sanguinoso scenario delle Crociate, con in più l’illusione di favolosi tesori da cercare.
Ma questo non spiega il perchè di tanta letteratura, tanto spettacolo, tanto “trend” intorno alla leggenda che è nata dalla terribile fine di questi eroici cavalieri.
E allora perché? Per il mistero, per la crudeltà della catastrofe che li travolse? Per le atroci torture cui furono sottoposti prima di andare al rogo? Per la morbosa curiosità che tutto ciò può provocare nell’animo pigro dell’uomo contemporaneo? Sì, certamente, ma solo in parte.
E allora? La risposta è paradossalmente nell’attualità del progetto che essi intendevano realizzare, il cui fallimento determinò appunto la loro fine. Una fine che possiamo considerare oggi come una battuta d’arresto nell’evolversi della civiltà occidentale, con fatali contraccolpi nei confronti della società islamica (ed ebraica). Una fine di cui si avvertono oggi più che mai gli effetti, nel deteriorarsi della crisi che vede la società occidentale e quella islamica tragicamente contrapposte.
E’ in questo da ricercare, al di là di ogni interesse favolistico, l’attualità del Tempio. Perchè? Perché mai nessuna nazione, società, partito, fratellanza o lobby fu mai tanto vicina quanto lo furono i Templari alla realizzazione di una pacificazione reale tra la Cristianità e l’Islam, i due blocchi contrapposti dell’intero mondo allora conosciuto. Non attraverso una semplice alleanza, ma attraverso un sincretismo filosofico e religioso che avrebbe accomunato le tre grandi religioni monoteistiche in un unico affratellamento.
Ma come si spiega che guerrieri così determinati nella lotta contro l’Islam, nella difesa del Santo Sepolcro, così spietati in battaglia, potessero essere giunti a concepire una simile utopia? Si spiega con la circostanza che, diversamente dagli altri crociati, i Templari erano dei border-men, stanziali in Terrasanta. Ciò consentì loro di vivere prolungati periodi di pace tra una crociata e l’altra, promuovendo intensi scambi culturali (e politici) con i circoli più progrediti della società islamica (sufi, hassasi ed ismaeliti).
Instaurarono in specie contatti con la setta degli “assassini”, così chiamati non per il consumo dell’hashish come si crede, ma perchè discendenti di Hassan, quindi “hassasi”.
Facilitò questi contatti un’analogia ideologica e religiosa tra Templari e Hassasi, che li rendeva in qualche modo eretici entrambi: i Templari per la loro vocazione a una lettura profonda del Vangelo di Giovanni, cioè la più ermetica delle scritture; gli Hassasi per una loro speciale interpretazione del Corano. Entrambi ritenevano, in base ai loro studi, che una conoscenza profonda della legge affrancasse dalla sua osservanza.
Ne derivò per i Templari l’ostentazione di certe forme di “santa trasgressione” che procurarono loro pessima fama in Europa, tanto che ancor oggi si dice in Francia e in Inghilterra “bere come un templare” per indicare una scandalosa ubriachezza.
Anche la struttura gerarchica dei due ordini era così simile da sembrare speculare, con un Gran Maestro da una parte ed uno Shayk al Jabal (o Vecchio della Montagna) dall’altra, dotati di poteri illimitati.
E’ significativo che negli stessi anni in cui si compiva in Europa lo sterminio dei Templari, aveva luogo in Oriente la persecuzione degli Hassasi, egualmente per motivi di eresia. E’ evidente che all’origine della persecuzione c’era l’inammissibilità del progetto di un'unione che avrebbe compromesso ogni equilibrio preesistente, politico e religioso.
Ne conseguì per i Templari un processo di crudeltà inaudita, nel corso del quale furono estorte con la tortura sconcertanti ammissioni, tali da motivare accuse di eresia, idolatria, immoralità. Furono in particolare accusati di adorare un idolo bifronte detto Baphomet (cioè Abufihamat, “padre della comprensione” o “della verità”, che in pratica è lo stesso) e di praticare riti blasfemi, di carattere addirittura satanico.
Ma non è sul processo che deve fondarsi l’interesse per la loro storia, bensì sul progetto che avrebbe dovuto portare al compimento della grande utopia. In che modo, con quali mezzi i Templari ritenevano di poterlo realizzare?
E’ risaputo che le ricchezze dell’Ordine fossero immense. Tanto da lasciar immaginare l’esistenza di un leggendario tesoro, occultato dagli ultimi cavalieri all’approssimarsi della fine e mai più ritrovato. Ma in effetti l’origine di tali ricchezze è molto meno favolosa di quanto parrebbe.
Si sa dalla storia documentale che i Templari avevano fin dall’inizio mostrato uno speciale talento bancario, soprattutto negli spostamenti di capitali da un luogo all’altro, eseguiti con strumenti di credito modernissimi. Ai Templari si deve l’invenzione del travel-check e della carta di credito, concepiti per consentire ai mercanti e ai ricchi viaggiatori di spostarsi da un luogo all’altro depositando i propri capitali in una capitaneria templare per poi riscuoterli all’arrivo (pagando, s’intende, una congrua provvigione).
A questa genialità finanziaria si erano poi sovrapposti i profitti della guerra, coi tesori razziati in Terrasanta.
Era valso infine ad accrescere la portata di tali ricchezze un rigore estremo nell’amministrazione dei beni del Tempio, tanto da far equiparare la negligenza economica ai più gravi delitti, e alla stessa viltà in battaglia. Ne sono scaturite pesanti dicerie sull’avidità dei Templari, accusati perfino di usura.
Ma la verità è che i responsabili dell’Ordine avevano piena consapevolezza della loro solitudine e della necessità di poter contare sulle proprie sole forze in difesa dei territori cristiani d’outremer. Si rendevano perfettamente conto, in altre parole, che in caso di catastrofe militare sarebbero stati abbandonati a se stessi dai sovrani d’Europa. Come di fatto avvenne.
Potrebbe sembrare sospetto che l’ordine dei Templari, nato in funzione della Crociata e della protezione del Santo Sepolcro, abbia raggiunto l’apice della propria fortuna militare ed economica dopo il crollo del regno cristiano di Gerusalemme e il rientro in Europa. Ma questo si spiega con il fatto che furono i soli in grado di provvedere al trasporto dei grandi capitali dagli stati perduti di Terrasanta all’Europa, rendendo un servigio fortemente ricompensato alle grandi famiglie, ai mercanti, alle confraternite religiose e a ogni altra lobby della società cristiana d’oltremare.
Si trattò della prima e forse più complessa esportazione di capitali della storia, messa a punto grazie all’esistenza di una poderosa flotta templare, ma anche grazie alla estensione del network universale del Tempio, autentica multinazionale della fede.
Sarebbe tuttavia ingeneroso affermare che il ritiro dalla Terrasanta possa essersi solo risolto in una colossale operazione commerciale: molti Templari caddero al fianco degli Ospitalieri nella difesa del Krak dei cavalieri, ultima poderosa fortezza cristiana in Terrasanta, e ad Acri, sacrificandosi per consentire l’imbarco verso l’Europa alla popolazione cristiana incalzata dall’armata musulmana.
Un arricchimento ulteriore per i Templari si registrò dopo il rientro in Europa con nuovi investimenti, in specie prestiti alle case regnanti.
E’ il momento in cui il loro progetto si spinge a considerare la fondazione di una federazione di stati europei, o addirittura l’insediamento di un Papa templare sul trono di Pietro (ma questo è un altro mistero, che s’intreccia con quello di Celestino V).
Ma è anche il momento che prelude al dies nefastus (il giorno nefasto, come l’hanno chiamato alcuni storici). La notte del 13 ottobre 1307, con un geniale colpo di mano dei servizi segreti di Filippo il Bello, architettato dall’inquisitore Nogaret, vengono arrestati i vertici dell’Ordine, più centinaia di cavalieri sparsi per le capitanerie Templari di Francia. E’ l’alba di un venerdì: nasce curiosamente quella notte la superstizione popolare che ancor oggi attribuisce un sinistro potere malaugurante al venerdì 13.
Del processo e dei suoi esiti e dei dubbi che ne sono derivati, tanto in riferimento all’innocenza che alla pretesa colpevolezza dei cavalieri si è detto e scritto tanto. Non ne sono scaturite certezze assolute, né contro né a favore dei condannati. Si deve tuttavia convenire su almeno un punto in difesa dell’Ordine, ed è che un uomo che muore sotto la tortura per non confessare i crimini di cui lo si accusa è infinitamente più credibile di mille che per sottrarsi alla tortura confessano.
Ci furono tra i Templari eroi e traditori, idealisti e trafficanti. La loro tragedia insegna che non esiste nobile impresa, idealità, illusione del tutto esente da errori, e forse talvolta bassezze - così come non v’è bassezza ed errore che non possano essere riscattati da un nobile gesto.
In questo il bene s’intreccia con il male, il bianco con il nero, come nel Baussant, il leggendario stendardo del Tempio, così chiamato dall’antico francese Vaucent, che lessicalmente vuol dire “valgo per cento”. Tant’è che i Templari di lingua italiana lo chiamavano il Valcento.
Lo stesso gran maestro Jacques de Molay non seppe dare un esempio di fermezza nella tempesta, ma fu lacerato da dubbi ed esitazioni, indecisioni sul da farsi. Seppe però morire da uomo, con la coscienza liberata da ogni peso. Seppe immolarsi come agnello sacrificale di una libertà negata. Ed è per questo che c’è posto per lui nel grande libro del libero pensiero, accanto a Giordano Bruno e a Thomas More, a Ramon Lull e ogni altra vittima dell’intolleranza di qualsivoglia matrice, religiosa o politica.
Una cosa è certa. Nel bene e nel male, i Templari furono vittime del loro sogno. Morirono liberi, vittime di una libertà negata. Con il rogo dei Templari finisce la storia e inizia la leggenda. Una leggenda che s’intreccia con la ricerca del Graal e il ritrovamento della Sindone, il lenzuolo in cui fu avvolto il corpo di Gesù, massime reliquie della Cristianità.
Si sa per certo che alcuni Templari si rifugiarono in Portogallo, dove parteciparono alla reconquista iberica contro gli arabi. Altri si rifugiarono in Scozia, dove si unirono ai clan nella lotta per l’indipendenza scozzese. E’ significativo che alla battaglia di Bannockburn (nel 1314, l’anno stesso del rogo finale dei Templari) gli inglesi vengono per la prima volta battuti in campo dagli scozzesi, grazie all’intervento di misteriosi imbattibili cavalieri dai bianchi mantelli. Tutto lascia ritenere che siano stati i Templari a incoronare Robert Bruce re di Scozia, dando origine alla moderna massoneria di rito scozzese. E’ certa comunque una sopravvivenza segreta dell’ordine del Tempio nella diaspora e nella clandestinità. Se ne riscontrano tracce nella storia e nella letteratura, principalmente tra i rosacroce e i liberi muratori d’Europa.
Si dice che il boia che (durante la Rivoluzione Francese, NdP) decapitò Luigi XVI (discendente di Filippo il Bello) fosse un templare, incaricato di vendicare il rogo di cinque secoli prima. Non si sa quanto sia vero. Ma è comunque una voce leggendaria che dimostra la sopravvivenza di un mito attraverso l’opera di maestri segreti, legati a misteriose confraternite. E, se volete entrare in questa leggenda con un ruolo da protagonisti, questo è il vostro gioco.