Lo sguardo di Vanni

Intervista allo scrittore (e giurato del Trofeo RiLL) Vanni Santoni
di Andrea Viscusi
[pubblicato su RiLL.it nel dicembre 2019]

Uno degli scrittori protagonisti di Lucca Comics & Games 2019 è stato sicuramente Vanni Santoni. Negli ultimi anni, gli appassionati di giochi di ruolo hanno avuto modo di conoscerlo con “La stanza profonda” (Laterza), romanzo segnalato al premio Strega e che racconta vent’anni di vita e di gioco di un gruppo di giocatori; gli amanti del fantasy, invece, hanno potuto leggere la trilogia “Terra ignota”, “Terra ignota 2” e “L’impero del sogno” (Mondadori); infine, i lettori più mainstream hanno apprezzato il recente “I Fratelli Michelangelo” (Mondadori).

Oltre che scrivere, Vanni Santoni è impegnato in mille attività in campo letterario (è anche giurato del Trofeo RiLL dal 2017), ed è un attento osservatore dell'evoluzione del mondo culturale italiano.
La manifestazione toscana è stata quindi una buona occasione per una chiacchierata a tutto campo sul mondo della narrativa e dell’editoria, anche nell’ottica di dare qualche consiglio a chi si avvicina come aspirante autore a quel mondo….

Partiamo da Lucca Comics & Games, uno degli eventi dedicati al mondo nerd che negli ultimi anni ha conosciuto una crescita inimmaginabile, fino a diventare una delle manifestazioni più rilevanti a livello europeo. Ti è capitato di frequentarlo anche prima di questa esplosione, e in cosa è cambiato nel corso degli anni?

Frequento Lucca Comics & Games fin dalla prima edizione del ‘93 – anzi, in effetti fin dalla fiera che esisteva prima di essa – e non c’è bisogno che sia io a dire che è cambiato tutto. Basterà ripetere che prima – ma direi almeno fino a una decina di anni fa – LCG era un evento di nicchia, mentre adesso è un evento di massa, con tutto ciò che questo comporta.
Ora, se è comprensibile che i videogame, nel 2019, prendano molto spazio, è evidente che quando i bastioni di Lucca vengono colonizzati non solo da Blizzard ma anche da multinazionali come Amazon, Haribo o Netflix, qualcosa dello spirito originario è andato perduto. Recentemente ho intervistato tre esperti del settore – Gregorio Magini, tra gli autori di “Guida all’immaginario nerd”, Eleonora C. Caruso, curatrice del saggio “Nerdopoli”, e Michele Bellone, da sempre attento al tema nei suoi articoli – su questo mutamento e sulla situazione attuale; le loro risposte possono essere lette qui, su Il Corriere della Sera.

Quello che è successo a LCG riflette forse in parte uno shift culturale, che vede quello che era il mondo nerd, una sottocultura di nicchia, allargare i propri confini e diventare in pratica cultura pop. Questo tema è stato affrontato di recente proprio nella “Guida all’Immaginario Nerd” (saggio recensito anche su RiLL.it, NdP), alla quale tu hai contribuito e che citavi. Quali sono a tuo avviso le potenzialità e quali i rischi di questa evoluzione?

Il mio contributo alla “Guida all’immaginario nerd” è minimo, solo una scheda sui giochi di ruolo, ma condivido le tesi che lì sono sostenute in particolare da Gregorio Magini e Jacopo Nacci. Io ho affrontato la questione in modo abbastanza dettagliato ne “La Stanza profonda”, partendo dall’ambito specifico dei giochi di ruolo, e credo che - a parte l’ovvia soddisfazione nel vedere “vincere” tutti quegli immaginarî che abbiamo amato (oltre chiaramente alla nascita di nuovi mercati per chi lavora con i giochi, i fumetti e il fantastico, cosa questa del tutto positiva) - non ci siano chissà quali potenzialità in simili shift: nel momento in cui qualcosa da sottocultura (o addirittura controcultura) diventa mainstream, è ineludibilmente svilito, impoverito, spogliato dei propri valori per diventare mero commercio. Non a caso, tra le cose più interessanti di LCG ci sono oggi la Self Area e il Borda! Fest, il “festival nel festival” autogestito e dedicato alle autoproduzioni. E non è solo una questione che riguarda le fiere di fumetto e giochi: tanto per fare un collegamento con un mio libro che a “La Stanza profonda” è legato a doppio filo, quel “Muro di casse” dedicato alla cultura rave, sarà sufficiente confrontare un vero free party libero, gratuito, inclusivo e pieno di inventiva e suggestioni con quelle schifezze di mega-eventi “EDM” pieni di sponsor e col biglietto a duecento euro per capire di cosa sto parlando.

Anche nell’ambito della letteratura sembra di cogliere i primi indizi di un diverso approccio a generi letterari un tempo considerati “minori”. La narrativa di genere (fantasy, fantascienza, horror, weird ecc.) sta guadagnando via via più spazio negli ambienti mainstream (che un tempo la snobbavano) anche se a volte sotto mentite spoglie, penso ad esempio alla popolarità del genere distopico, che spesso non viene però accostato alla fantascienza, o all’attenzione per la climate fiction. Pensi che sia davvero in corso un’apertura dell’ambiente culturale nei confronti di questo genere di storie?

Ci sono ragioni storico-culturali precise dietro al fatto che la speculative fiction è stata considerata a lungo, specie in Italia, “letteratura minore”, così come dietro al suo recente sdoganamento, la cui ampiezza si deve comunque anche al lavoro di tanti professionisti in tal senso – penso ad esempio agli articoli di Edoardo Rialti, che finalmente hanno portato un livello critico elevato anche nel fantasy, o agli incontri che Loredana Lipperini ha organizzato negli ultimi anni in uno degli spazi più grandi del Salone Internazionale del Libro di Torino. Dato che ne ho scritto in un articolo specifico (e in altri che si possono trovare linkati al suo interno), rimando direttamente a quello.

Tu stesso sei un autore che attinge spesso alle tematiche fantasy o weird, ma i tuoi libri non vengono in genere classificati come appartenenti a questi generi. Ti senti più un autore di genere prestato al mainstream, o viceversa? O magari è una distinzione che non ha senso di esistere?

Non ho mai creduto nella distinzione manichea tra generi (che è del resto un’invenzione del comparto editoriale e di quello distributivo), la sola cosa che conta è la qualità. Credo sia un fatto che i romanzi “letterari” più importanti usciti negli ultimi anni (come “Abbacinante” di Mircea Cărtărescu, “Fisica della malinconia” di Georgi Gospodinov, “Satantango” di Lázló Krasznahorkai, “Terminus radioso” di Antoine Volodine, o ancora il recentemente tradotto “La parte inventata” di Rodrigo Fresán), includono rilevanti elementi fantastici – e se oggi vanno molto gli “ibridi”, vale anche la pena ricordare che il romanzo lo è sempre stato, ed ha avuto solo una parentesi in cui sembrava che gli unici romanzi “seri” fossero quelli pienamente realistici.
I miei libri fantastici, ovvero i due “Terra ignota” e il loro prequel “L’impero del sogno”, sono collegati direttamente, per mezzo di quest’ultimo, al mio “canone” realistico. Tutti i miei romanzi afferiscono allo stesso universo e hanno personaggi in comune. Ne ho parlato diffusamente in questa intervista.

In quanto giurato del Trofeo RiLL hai avuto modo di leggere i racconti di molti autori esordienti, spesso alla loro prima esperienza con un concorso letterario. Hai notato qualche aspetto interessante dalla lettura di questi lavori, ad esempio dei trend che si ripropongono nelle storie, oppure qualche elemento stilistico particolare?

Mi sembra che la qualità media sia piuttosto elevata, anche se va detto che noi della giuria leggiamo una piccola selezione (i dieci racconti finalisti) rispetto a tutti quelli che partecipano. Ho l’impressione che, dopo una sopravvenuta egemonia del fantasy, oggi stia tornando con forza la fantascienza. Corsi e ricorsi storici…

Visto che appunto molti degli autori che partecipano al Trofeo RiLL stanno iniziando a muovere i passi nel mondo dell’editoria, ti senti di voler dare loro qualche consiglio sulla strada da intraprendere? Ci sono altri concorsi, eventi o selezioni che ritieni meritevoli per chi vuole impegnarsi in questo settore?

Se l’obiettivo è l’esordio, un concorso su tutti: il Premio Calvino, che opera un’ottima selezione (fornisce anche scheda di lettura, cosa che da sola giustifica il costo dell’iscrizione), tant’è che i suoi vincitori, ma anche i finalisti, trovano quasi sempre un editore. Più che i premi, comunque, la cosa fondamentale è scrivere sulle riviste letterarie – o, meglio ancora, fondarle –, sia perché lo scouting editoriale avviene lì, sia perché far parte di una “società letteraria” è fondamentale per la crescita di un autore.

Tra i fenomeni più recenti nell’editoria, soprattutto per chi si affaccia per la prima volta a questa dimensione, ci sono quelli del self-publishing, editori a pagamento e vanity press. Ritieni che possano essere utili per un autore, al posto della cosiddetta “editoria tradizionale”?

È importante anzitutto operare una distinzione. Gli editori a pagamento (o vanity press che dir si voglia) sono sempre esistiti e si tratta di pure e semplici truffe, pure speculazioni sui sogni della gente: una volta fatto un indotto su ciò che paga direttamente l’aspirante autore, non hanno alcun interesse a distribuire i libri o a venderli; inoltre cadere nella loro trappola rischia di rovinare anche il “CV letterario” dell’aspirante, che si qualifica come sprovveduto, pregiudicandosi eventuali vere pubblicazioni in futuro.
Il self-publishing, evidentemente, è privo di tale dimensione truffaldina, ma rischia parimenti di trasformarsi in un vicolo cieco per chi ha ambizioni letterarie più elevate: se qualcuno, consapevole di realizzare un prodotto con caratteristiche tali da essere destinato a un numero limitato di lettori (o a un proprio pubblico specifico), lo utilizza, non c’è niente di male (sebbene allora sia meglio dedicare le proprie energie a una vera autoproduzione militante, in circuiti alternativi alla distribuzione mainstream); credere invece all’idea – quasi sempre alimentata dagli stessi self-publisher, a cui preme difendere uno status di scrittori che esiste solo nella loro immaginazione, o da chi vende loro servizi come editing, grafica, bozze – che il self-publishing sia una buona scorciatoia per esordire e farsi notare, significa condannarsi a un oblio quasi certo.
Chi vuole fare lo scrittore deve darsi da fare in tutt’altro modo, scrivendo sulle riviste e cercando un editore vero – ovvero un editore che abbia distribuzione su tutto il territorio nazionale, che invii copie stampa e faccia promozione, che frequenti fiere e festival di settore e che paghi un anticipo (o almeno corrisponda le royalties). Per chi vuole approfondire, ho raccolto altre dritte in merito in questo articolo.

C’è qualche aspetto dell’attuale mercato editoriale italiano che secondo te avrebbe bisogno di essere sistemato per poter operare in un ambiente più sano?

Il mercato editoriale italiano ha due problemi: il fatto che i grandi gruppi controllino anche la distribuzione (e le maggiori catene di vendita al dettaglio), penalizzando così gli editori indipendenti, che già fanno molta fatica a stare sul mercato, e il fatto che la distribuzione imponga un turn-over rapidissimo dei titoli, imponendo agli editori di far uscire continue novità, che spesso vanno a sostituire sugli scaffali libri magari buoni, ma che non hanno letteralmente avuto il tempo di trovare i propri lettori.

Accennavi prima alla fantascienza, che spesso parla di tecnologie avanzatissime. Oggi le reti neurali sono forse una delle frontiere di questa evoluzione tecnologica, capaci di “performance” incredibili. Arriveremo un giorno alla sostituzione della figura dello scrittore (umano)? O questa è davvero... fantascienza?

Durante l’incontro lucchese con Bruce Sterling organizzato da Cosimo Lorenzo Pancini (incontro di cui potete leggere un dettagliato report in altra pagina del sito di RiLL; qui accanto una foto che ritrae Vanni e Bruce Sterling intenti a dialogare, NdP) abbiamo concluso che siamo già abbastanza vicini a tale situazione di “singolarità creativa”: di fatto, alcune pagine prodotte da reti neurali opportunamente “nutrite” hanno solo bisogno di un editor umano che selezioni e tagli qua e là per diventare quasi spendibili, sebbene i computer non siano ancora in grado di creare narrazioni di largo respiro. Sull’argomento ha scritto un articolo-summa Gregorio Magini, che consiglio assolutamente di leggere, su NOT.


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