Il mio nome è Antonella Mecenero e queste sono le mie storie

Intervista ad Antonella Mecenero su La Spada, il Cuore, lo Zaffiro, antologia di suoi racconti fantasy curata da RiLL
di Alberto Panicucci
[pubblicato su RiLL.it nel novembre 2016]

È ormai consuetudine che le antologie personali della collana Memorie dal Futuro siano chiuse da un'intervista all'autore dei racconti pubblicati nel volume. Con piacere proponiamo adesso on line le domande e le risposte di Antonella Mecenero su La Spada, il Cuore, lo Zaffiro.


Antonella, quest’anno l’antologia personale di RiLL è dedicata a te. Che effetto ti fa?

Sono felicissima!
La proposta di RiLL è arrivata in un momento un po’ particolare, in cui per motivi personali e lavorativi ho dovuto mettere la scrittura in secondo piano. Il fatto di essere stata cercata proprio in quel momento mi ha profondamente commosso, così come la possibilità di mettere mano a storie che stavano da tanto tempo nel cassetto. L’idea che possano prendere il volo e arrivare ai lettori mi rende davvero felice.

Come autrice, tu scrivi storie di genere, in particolare fantasy e gialli. C’è un motivo preciso per questo?

Ovviamente anche da lettrice, pur essendo onnivora, ho una predilezione per questi due generi.
Da autrice, penso che mi offrano della opportunità straordinarie. Scrivere un racconto di genere sancisce subito un patto con il lettore. Io “prometto” al lettore la presenza di determinati elementi, il delitto o il fantastico. In cambio chiedo al lettore di venire con me e di inoltrarsi in una storia che da un lato non tradisce la sua aspettativa e dall’altro mi permette di raccontare qualcosa che mi sta a cuore. Voglio che a lettura terminata il lettore si senta appagato, abbia trovato un buon enigma da risolvere o abbia tenuto desto il suo senso del meraviglioso, ma possa dire anche: “non è il solito giallo/ fantasy”.

In effetti a molti il fantasy pare proprio un genere sin troppo codificato. Tu cosa ne pensi? Resta il fatto che è un genere molto letto…

Ben prima che diventasse una moda, il fantasy è il genere con cui sono cresciuta. A nove anni ho scoperto Il mago di Earthsea di Ursula Le Guin (tutt’ora la mia autrice di riferimento), a undici Il Signore degli Anelli, a quattordici ho iniziato a giocare a Dungeons & Dragons e non sono più uscita da questa spirale di draghi e magia.
Paradossalmente, però, il fantasy che mi ha sempre appassionato è quello atipico, preferibilmente scritto da donne. Oltre alla Le Guin ho apprezzato anche Mary Stuart con la sua rivisitazione del ciclo arturiano, Marion Zimmer Bradley e, più recentemente, Robin Hobb e Luis McMaster Bujold. Tutte autrici che hanno usato gli stilemi del fantasy per raccontare altro, mettendo al centro personaggi dalla psicologia non lineare e molto diversi dall’archetipo del classico eroe fantasy. Come autrice sento di appartenere a questo filone.

In tre delle dieci storie di questa antologia, quelle ambientate nel Leynlared sotto il regno di Amrod, metti al centro il tema della diversità nell’orientamento sessuale. In effetti anche il tuo è un fantasy atipico…

Nei miei racconti fantasy affronto spesso il tema della diversità in senso lato, che infatti è presente in quasi tutti i racconti dell’antologia.
Il “problema” con i racconti delle Ley è stato Amrod del Leynlared, che è come uno di quegli attori che è un piacere avere in scena ma rischia di “mangiarsi” tutti gli altri interpreti a causa della propria personalità. È stato lui a chiedermi con insistenza di raccontare la sua storia, rubando, di fatto, il ruolo di protagonista ad altri. È successo anche con questa antologia, dato che si è preso un bel po’ di spazio.
Il cuore della sua storia, quel che mi interessava raccontare, è il costante confrontarsi con un pregiudizio radicato (un Leylord non può essere omosessuale), pregiudizio che mette più volte in dubbio il suo ruolo e che alla lunga trasforma un giovane idealista in un sovrano capace, ma con una freddezza e un cinismo che non sarebbero spiaciuti a Macchiavelli.

Non è raro che un autore fantasy crei un mondo in cui ambientare le proprie storie. È molto più particolare usare, come hai fatto tu, una serie di racconti (non un romanzo) per narrare le storie del Leynlared. Puoi spiegarci i motivi di questa scelta?

Ci sono autori fantasy la cui attenzione è concentrata soprattutto sulla costruzione di un mondo altro e del suo sistema di magia (penso ad esempio a Sanderson). La mia attenzione, invece, è tutta legata ai personaggi. Sono le loro storie, non quelle del mondo, che mi interessa raccontare.
Nel caso specifico di Amrod, poi, raccontare la sua vicenda con dei racconti è particolarmente congeniale almeno per tre motivi. Permette di seguire attraverso dei flash un arco narrativo molto lungo, mostrando così l’evoluzione dei personaggi. Permette di variare i punti di vista, mostrando una realtà variegata e non lineare. Infine, io amo il racconto per la sua capacità di focalizzare l’attenzione del lettore su un singolo aspetto, che in una narrazione più lunga andrebbe a perdersi.
C’è, però, una vicenda nella storia del Leynlared che merita un respiro più ampio. È una storia cui sono molto legata, ha per protagonista Coy Sender (che è anche il protagonista dell’ultimo racconto nell’antologia, Nulla che non sia già mio), ma che racconta anche la fine del regno di Amrod. Esiste già, in forma di romanzo, ma ancora non mi soddisfa. Di certo lavorando a questa antologia mi è venuta una gran voglia di metterci mano di nuovo…

Come autrice di genere, quali differenze e quali somiglianze trovi fra lo scrivere fantasy e lo scrivere gialli?

Scrivendo fantasy si è molto più liberi!
Un buon giallo prevede la presenza di un enigma che il lettore può provare a risolvere prima dell’investigatore. Questo costringe a un’attenta pianificazione e, soprattutto nei racconti, gli elementi vanno dosati e centellinati, perché lo spazio è contingentato. Da un lato trovo molto divertente dover rispettare questi vincoli, dall’altro ogni tanto è bello concedersi una scrittura più rilassata.
Sono molto affezionata al Trofeo RiLL, grazie a cui ogni anno ho avuto l’occasione di scrivere uno o due racconti fantasy, mentre la mia produzione virava sempre più al giallo. Sono stati dei momenti quasi di “vacanza” e di sperimentazione. Anche da un punto di vista linguistico, infatti, il giallo ha bisogno di chiarezza e precisione, mentre il fantasy permette molta più libertà. Nei racconti di questa antologia, infatti, c’è molta più varietà stilistica di quanta me ne possa permettere scrivendo gialli.

In che modo il tuo scrivere gialli ha arricchito il tuo scrivere fantasy? (e viceversa)

Credo che un amante del fantasy riesca a vedere del fantastico un po’ ovunque. L’investigatore è la versione calata nel reale dell’eroe che sconfigge i draghi, in un mondo dove il male non è rivestito di scaglie ma si nasconde potenzialmente nell’animo di ciascuno. Per questo credo che per me il giallo sarà sempre un fantasy calato nel reale. Del resto, che sia l’uno o l’altro genere, per me la lotta contro l’oscurità è sempre principalmente interiore. Come diceva Emily Dickinson: “è assai più sicuro un incontro a mezzanotte con un fantasma esterno, piuttosto che incontrare disarmati il proprio io”.
A livello tecnico, però, non è affatto facile incastrare i generi, perché la magia complica notevolmente le variabili in gioco e la regola base del giallo secondo cui al lettore vanno forniti tutti gli elementi per risolvere il caso diventa difficile da seguire.
Un racconto in questa antologia, Nulla che non sia già mio, è, a livello tecnico, un giallo in ambiente fantasy che ruota sulle motivazioni che stanno alla base di un furto di documenti. Scriverlo non è stato per niente semplice!

Il verso della Dickinson che citi, a dirla tutta, mi pare una chiave di lettura per molti dei racconti in questa antologia...

In effetti penso che sia così. Ciò che rende tale in fantastico è il confronto con ciò che non è umano, con la paura dell'ignoto e del mostruoso. Tuttavia anche il fantastico, come tutta la narrativa, parla principalmente di noi, in quanto esseri umani. E temo che anche se abitassimo davvero in un mondo popolato di draghi e fantasmi, i mostri peggiori rimarrebbero quelli che vivono dentro il nostro animo. Ciascuno di noi ha la sua parte di oscurità con cui fare i conti. Credo che questo sia il nucleo della mia narrativa. In ognuno di questi racconti i personaggi devono fare i conti principalmente con sé stessi, per capire chi sono, cosa desiderano o accettare le conseguenze di cosa sono diventati.

Sei un’autrice di molti racconti e di un romanzo sherlockiani. Puoi parlarci di questa parte della tua attività di scrittrice?

Scrivere apocrifi sherlockiani è un esercizio che consiglio a tutti gli aspiranti scrittori, proprio perché obbliga a seguire delle regole. Obbliga a pianificare per costruire un intreccio che sia all’altezza di Sherlock Holmes e dei suoi esigentissimi fan e obbliga a un sano esercizio stilistico. I racconti, infatti, devono essere scritti con uno stile vicino a quello delle traduzioni classiche di Conan Doyle. Riprendere la sintassi e la ricchezza lessicali di fine Ottocento/ inizio Novecento è, secondo me, un ottimo antidoto alla povertà linguistica a cui assistiamo oggi, anche in certa narrativa.
Al di là di questo, io amo moltissimo Sherlock Holmes, è un personaggio di estrema modernità e permette di raccontare tantissime storie legate a un periodo storico di raro fascino. Moltissimi dei miei racconti apocrifi e il romanzo sono nati semplicemente perché mi sono imbattuta in storie apparentemente incredibili di fine Ottocento e ho sentito l’esigenza di indagarle più a fondo. Ovviamente chi meglio di Sherlock Holmes poteva farlo?

Tu insegni, sei a contatto con i ragazzi, di quell’età in cui la distinzione fra realtà e fantasia è più labile che “da grandi”. Quindi… che idea ti sei fatta della creatività?

I più considerano la creatività innata, e forse in parte è così, ma è anche una dote che va coltivata e allenata. Quello che mi spaventa dei ragazzi è che vivono immersi in un mondo che li vuole omologati, stregati da giochi che prevedono dei percorsi obbligati per essere risolti e costretti a una scuola che propone loro problemi con un’unica soluzione.
Credo che la società abbia bisogno di creativi, di ragazzi in grado di cercare strade nuove o ottiche inedite. Dobbiamo smettere di dire ai ragazzi che crescere significa archiviare la fantasia infantile, ma al contrario farla crescere insieme a loro, perché diventi strumento per interpretare il reale.

In quarta di copertina c’è una tua piccola biografia, che ti presenta ai lettori: insegnante, lettrice e autrice di racconti fantasy e di gialli, con svariate pubblicazioni all'attivo. C’è qualcosa da aggiungere, su Antonella Mecenero?

In realtà no, se non sottolineare che le storie che scrivo devono moltissimo ai luoghi in cui vivo. Ho la fortuna di abitare tra il Lago Maggiore e il Lago d’Orta, con i boschi che iniziano giusto a una decina di metri dietro casa. Basta prendere un sentiero per uscire dal mondo degli uomini e prepararsi a incontrare altro, come uno scoiattolo o un leprotto. Diventa fin troppo facile immaginare che spunti tra gli alberi anche un lepricauno o un unicorno. Inoltre, come tutta l’Italia, anche questi luoghi sono ricchi di leggende. E con draghi e streghe che la fanno da padroni è davvero difficile dire che l’Italia non sia un paese per il fantasy!

 

Antonella Mecenero
La Spada, il Cuore, lo Zaffiro
Racconti fantasy
Wild Boar Edizioni
140 pagine, formato tascabile.
Illustrazione di copertina: Valeria De Caterini
prezzo di copertina: 10 euro
prezzo speciale RiLL:
10 euro (spese postali incluse)
(il volume è anche disponibile su Amazon e Delos Store)

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