Dobbiamo vederci come un unico grande popolo, gli esseri umani

Il resoconto dell’incontro con la stampa di Leiji Matsumoto, il disegnatore di “Capitan Harlock” e “Galaxy Express 999”, a Lucca Comics & Games 2018
di Alberto Panicucci
[pubblicato su RiLL.it nel gennaio 2019]

L’artista ospite d’onore a Lucca Comics & Games 2018 era Leiji Matsumoto, celebre disegnatore giapponese, di fumetti (manga) e cartoni animati (anime). Tanto per far capire subito di chi stiamo parlando, basti dire che Matsumoto è l’autore di “Capitan Harlock” e di “Galaxy Express 999”.

Per quanto mi riguarda, però, ricordo soprattutto un’altra opera di Matsumoto: il cartone animato “Star Blazers”, che vedevo da bambino in televisione. Non rammento bene, onestamente, la trama di quella serie, ma quanto mi emozionasse e piacesse sì, in quel senso il mio ricordo è davvero molto vivido, nonostante siano passati ormai più di tre decenni. Per questo ho voluto assolutamente partecipare all’incontro di Matsumoto con la stampa nazionale, presso la Camera di Commercio di Lucca, e ora ne scrivo su RiLL.it

Essendo stato alla conferenza stampa soprattutto per “Star Blazers”, proprio da quel cartone voglio partire.
Una premessa e un breve excursus: la serie di cui sto parlando si chiama in realtà “La corazzata Yamato”. “Star Blazers” è il titolo che è stato dato alla sua versione statunitense (ovviamente ri-adattata dall’originale giapponese), e che è poi giunta sugli schermi italiani ed europei (nei primi anni ’80 in cui la vedevo io).
In sostanza, il cartone racconta i viaggi e le avventure della corazzata spaziale Yamato, che nelle tre serie è variamente chiamata a salvare la Terra.

Wikipedia dedica a “La corazzata Yamato” una pagina molto ampia e dettagliata, cui vi rimando: non sono assolutamente un esperto di animazione giapponese, quindi non cercherò di improvvisarmi tale.
In questo articolo mi limiterò al racconto di quell’incontro di inizio novembre, cercando di riportare in modo preciso (e spero sistematico) le risposte di Matsumoto alle tante domande ricevute dai giornalisti e blogger presenti.

Mi pare significativo aggiungere, prima di entrare in medias res, solo due aspetti su “La corazzata Yamato” (“Star Blazers”): in primis, la corazzata che dà il nome alla serie è una vera nave da battaglia della marina giapponese, utilizzata nella Seconda Guerra Mondiale e che gli americani affondarono nel 1945, al largo di Okinawa. Nella prima serie del cartone, infatti, la nave viene recuperata e trasformata in un’astronave.
In secundis, l’adattamento statunitense del cartone ha determinato svariati cambiamenti. Ai fini di questo articolo basta ricordare il nuovo titolo, il diverso nome della nave (da Yamato ad Argo) e di alcuni personaggi (il capitano Juzo Okita diventa il capitano Avatar; mentre il pilota Susumu Kodai diventa Derek Wildstar).

Ma veniamo alla conferenza…

Quando è stato il mio turno di fargli una domanda, ho chiesto a Matsumoto di rievocare l’esperienza lavorativa legata a “La corazzata Yamato” (“Star Blazers”).
L’autore giapponese ha raccontato che, quando gli proposero di realizzare quella serie, lui era già un affermato fumettista (disegnava manga dall’età di 15 anni), ma non si era ancora occupato di cartoni animati. Per questo voleva assolutamente cogliere quell’opportunità professionale, ma era molto preoccupato perché non aveva affatto le idee chiare su quale storia raccontare.
Alla fine, prese a modello la corazzata Yamato della Seconda Guerra Mondiale, trasferendola letteralmente nello spazio. Per i personaggi si ispirò invece alla vita reale: il capitano Juzo Okita/ Avatar era modellato sulla figura di suo padre (nel fisico e nel carattere, caparbio e determinato), mentre Susumu/ Derek era suo fratello minore.
A livello “ideologico”, il suo intento era raccontare una storia di speranza ambientata nel futuro, perché lui stesso aveva già alle spalle (all’epoca aveva circa 35 anni) esperienze traumatiche come il dopoguerra (e il dopo bomba) e la povertà.

Proprio sulla base di tali esperienze, e dall’alto dei suoi 81 anni, Matsumoto ha chiarito e ripetuto più volte durante la conferenza stampa che con le sue opere lui vuole mandare messaggi di pace, e che ritiene sia assolutamente necessario andare oltre le singole bandiere, nazioni, razze e religioni. Per citarlo più o meno fedelmente: “Dobbiamo imparare dalla Storia ed essere uniti, come essere umani, vederci come un unico grande popolo, capace di proteggere sé stesso e l’ambiente che ci circonda”.
L’altro punto centrale (anch’esso ribadito a più riprese) del “messaggio” di Matsumoto è l’importanza di non mollare mai, di non arrendersi davanti alle difficoltà della vita, continuando a perseguire i propri obiettivi.

Per sua stessa ammissione, Matsumoto ha spesso riportato nelle sue opere elementi reali e di vita vissuta, oltre che le sue idee e pensieri. Dovendo tirare le fila delle sue parole, credo si possano individuare tre precisi fattori (da lui stesso citati) alla base delle sue convinzioni:

1)    La figura del padre
Matsumoto considera il padre la sua prima fonte di ispirazione. Era un pilota, che partecipò alla Seconda Guerra Mondiale, insieme a tanti abitanti della città dove vivevano. Tre quarti di quelle persone non tornarono più a casa. Suo padre sì, ma era diverso: ripeteva sempre che gli uomini sono nati per vivere, non per fare le guerre.

2)    L’etica del Samurai
Matsumoto ha esplicitamente detto che il suo credo è quello dei Samurai (figura storica importantissima nella storia del Giappone): scegli la tua strada e perseguila senza mollare, rialzandoti ostinatamente dopo i fallimenti. Un insegnamento, questo, che gli ripeteva anche suo padre.
Inoltre, questo monito era molto presente nella società giapponese del secondo dopoguerra, e ha sicuramente contribuito (insieme a quello dell’importanza di essere uniti come popolo e “fare squadra”) al boom economico degli anni ’60 e ’70.

3)    Il dopoguerra
Matsumoto proviene dalla regione della città di Nagasaki, su cui venne sganciata la bomba atomica nel 1945 (quando lui aveva solo 7 anni). Per questo si considera un sopravvissuto, e ha conosciuto persone morte per la bomba negli anni successivi alla fine del conflitto. La sofferenza e le difficoltà del popolo giapponese nel dopoguerra le ha vissute in prima persona, e lo hanno sicuramente segnato (un episodio legato a “Galaxy Express 999” è illuminante: all’epoca disegnava nel fumetto i treni che prendeva, ma soprattutto i treni che vedeva nelle riviste, perché non aveva molti soldi per comprare i biglietti ferroviari; ancora, ricorda quando un editore lo convocò a Tokyo e lui prese i suoi risparmi per pagarsi il viaggio in treno sino alla capitale: un viaggio lunghissimo, una giornata intera, un’esperienza che poi riportò proprio in “Galaxy Express 999”).



Naturalmente Matsumoto non ha parlato solo di “massimi sistemi”, ma la sua visione del mondo è stata l’elemento centrale di molte sue risposte.
Anche quando ha accennato alla sua passione per il cinema dei paesi occidentali, ha parlato dei film western americani (la cui epica lo ha sicuramente influenzato), degli spaghetti western italiani (di cui ha detto di apprezzare in particolare la parte romantica, che ha cercato di riportare nelle sue storie) ma soprattutto ha citato “Via col Vento”, film che vide quando era bambino e che lo colpì moltissimo, proprio perché riprende e ribadisce il messaggio (che lui condivide) del non abbattersi davanti alle difficoltà.

A questo proposito, un giornalista (di cui purtroppo non ho segnato il nome) gli ha ricordato una frase che ha detto alcuni anni fa: I giovani non dovrebbero mai vergognarsi di piangere, ma di arrendersi.
Matsumoto ha confermato che la vede ancora così, e ha esortato tutti a tenersi stretti i propri sogni, a credere in essi e a perseguirli, perché proprio i sogni aiutano ad andare avanti, a credere nel futuro e a non arrendersi. Anche qui cito più o meno fedelmente: “La vita è fatta per vivere, non per arrivare alla morte.”

Nel complesso, onestamente, mi ha fatto un certo effetto sentire questi concetti in bocca a un “semplice” disegnatore.
Matsumoto è un uomo di corporatura piccola, decisamente anziano, molto serio. Nonostante l’ostacolo forte della lingua, è riuscito a comunicare col suo contegno un senso profondo di dignità e rispetto, anche quando si allontanava dai temi più strettamente legati alla sua attività di artista. Per questo, al termine dell’incontro, la sala stampa di Lucca Comics & Games si è sciolta in un applauso sincero, per rendere omaggio a un grande artista e a un grande uomo.

A proposito del suo lavoro, Matsumoto ha sottolineato come le sue storie siano simili a tasselli di un puzzle che si compone opera dopo opera. Anche per questo nel 2018 ha ripreso a disegnare “Galaxy Express 999”. Non desidera scrivere la fine delle sue storie, vorrebbero che continuassero all’infinito. Ritiene che scrivere e disegnare siano un po’ come imparare, e non vuole smettere di farlo.
Personalmente, non posso che sottoscrivere questo suo desiderio, che mi auguro si possa realizzare per molto tempo ancora.


Un sentito ringraziamento è dovuto da parte mia ad Alberto Rigoni, responsabile della comunicazione di Lucca Comics & Games 2018, senza la cui gentilezza non avrei mai partecipato all’incontro con Matsumoto.
Grazie, poi, all’interprete che ha tradotto in tempo reale tutte le risposte di Matsumoto, fornendo a me e a tutti i presenti in sala stampa un preziosissimo servizio.

Nelle foto, dall'alto in basso:
1) una delle illustrazioni realizzate da Leiji Matsumoto per Lucca Comics & Games 2018. Capitan Harlock a Lucca! (sullo sfondo si riconosce infatti la chiesa di San Michele)
2) io e un anonimo cosplayer, calato nei panni del capitano Juzo Okita/Avatar de "La Corazzata Yamato" ("Star Blazers")
3) la sala stampa di Lucca Comics & Games mentre tributa un sentito applauso di saluto e ringraziamento a Leiji Matsumoto, al termine dell'incontro.


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