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Intervista a Terry Brooks
di Francesca Garello + Livia Alegi
[pubblicato su RiLL.it nel marzo 2011]
È difficile scrivere l’introduzione ad un’intervista a Terry Brooks, soprattutto se verrà pubblicata su un sito di appassionati di letteratura fantastica. E non perché non ci siano cose da dire, ma perché è talmente tanto famoso che si rischia di dire cose già sentite.
Terry Brooks è stato il primo scrittore di genere fantasy a entrare nelle classifiche generaliste dei libri più venduti: il suo romanzo d’esordio, La Spada di Shannara (The Sword of Shannara, 1977), è rimasto per ben cinque settimane nella prestigiosa lista dei best-seller del New York Times e in seguito altri suoi libri hanno occupato varie posizioni in questa classifica per altre ventidue volte.
Nato come scrittore di un fantasy molto tradizionale (qualcuno ha addirittura trovato eccessive le similitudini del suo primo libro con Il Signore degli Anelli), non si è tuttavia fermato a riposare sugli allori. Se i due cicli di Shannara e Landover seguono un’impostazione definibile come “epic fantasy”, Brooks ha saputo svincolarsi da un genere che lui stesso ha contribuito a codificare fino a renderlo un po’ troppo prevedibile, esplorandone sfumature diverse e meno scontate: il suo ciclo di Verbo e Vuoto è un interessante esempio di “urban fantasy”, in cui elementi fantastici si mescolano inaspettatamente con un’ambientazione contemporanea.
Autore curioso e versatile, ha anche scritto due novelization, cioè romanzi tratti da sceneggiature di film: Hook - Capitan Uncino (1991) e Star Wars I - La minaccia fantasma (1999).
Per la bibliografia completa di Terry Brooks rimando comunque al suo sito ufficiale.
Il grande successo di Brooks ha molto contribuito alla popolarità e se vogliamo allo “sdoganamento” del fantasy, avvicinando al genere anche lettori che normalmente non avrebbero mai neppure visitato la sezione “fantasy” di una libreria (se mai c’era, perché un tempo le opere fantasy se andava bene stavano un po’ seminascoste nella sezione Fantascienza, se andava male nella sezione Ragazzi).
Ed è precisamente così che io stessa sono giunta in contatto con questo genere narrativo. Il primo romanzo fantasy che io abbia mai letto è appunto La Spada di Shannara, ma non lo comprai io. Un amico dei miei genitori me lo regalò, o meglio me lo scaricò (non nel senso internettiano e contemporaneo del termine!, NdP), dopo averlo comprato per sé e non averlo affatto gradito. Un errore di valutazione per averlo visto in quella famosa classifica di best-sellers di cui dicevo prima.
Un errore fortunato, però. Il libro finì nelle mani di un altro lettore, che seppe meglio apprezzarlo. La Spada di Shannara è stata per me la porta verso un nuovo mondo, un orizzonte più vasto che ancora non sapevo esistesse, e che da allora non mi sono mai stufata di esplorare.
Per questo, quando mi è stato proposto di intervistare per RiLL.it proprio Brooks, ospite d'onore di Lucca Comics & Games 2010, mi è sembrato veramente un regalo inaspettato.
Mi sono presentata in fiera in un piovoso pomeriggio di fine ottobre con tutta la famiglia: mio marito Gregory Alegi e nostra figlia Livia (dieci anni, NdP) in veste di interpreti di sostegno (sono bilingui, fortunati loro), ed io con in mano la prova di un’antica, fedele militanza: la mia copia dell’edizione italiana di La Spada di Shannara, datata 1978 (e che possiamo tutti ammirare in questa pagina, NdP).
La prima cosa che ho chiesto a Terry Brooks è stata di farmi una dedica su questo storico libro (potete leggerla anche voi: l’ho scelta come titolo per questa intervista...). La seconda richiesta invece è stata quella di concedere un po’ di tempo anche a mia figlia, per rispondere a poche domande per il giornalino della sua scuola. Il signor Brooks, specialista in saghe familiari, non ha potuto dire di no a due generazioni di fan simultaneamente presenti davanti a lui!
Sul risvolto di copertina del “mio” libro del 1978 Terry Brooks appare come un giovanotto americano sorridente e capellone, con un magnifico collettone a punta molto Seventies. Utilissima per spezzare il ghiaccio, la foto ci dà modo di chiacchierare un po’ e svelare un piccolo mistero: le poche righe biografiche sul risvolto ci dicono che è nato nel 1945, ma le biografie online riportano il 1944. Terry Brooks conferma che l’anno giusto è il secondo, quindi la prima edizione italiana de La Spada di Shannara era in errore.
Molto tempo è passato da quella nota biografica e da quella foto: non ha più tanti capelli, e quelli che sono rimasti sono bianchi, ma il sorriso è lo stesso. Non vive più nell’Illinois ma a Seattle, non fa più l’avvocato ma lo scrittore a tempo pieno…
Cominciamo proprio da questo. Lei nasce come avvocato.
Sì, ho fatto l’avvocato per diciassette anni. E ho cominciato a scrivere mentre lavoravo come avvocato. Ma in realtà scrivevo da quando ne avevo dieci.
E cosa scriveva? Fantascienza?
Anche. La leggevo molto, in effetti. Ho cominciato a leggere fantascienza intorno ai 12-13 anni. Ma scrivevo di tutto. Fantascienza, certo, ma ho provato anche western, storie di guerra...
Sono state mai pubblicate?
No, erano orrende! Ma è così che ho imparato.
E poi è passato al fantasy.
In effetti sono passato al fantasy piuttosto tardi, quando ero già alla Law School.
È strano, però. Vista la sua professione, come mai quando ha deciso di scrivere un libro non ha pensato a qualcosa di più attinente al suo lavoro? Un legal thriller, per esempio?
Era quello che diceva la mia agente, infatti. Diceva sempre che era raro trovare un avvocato che scrive fantasy. Ma era quello che mi piaceva e che volevo scrivere. I thriller mi stavano troppo stretti e mi limitavano. Ho sempre desiderato scrivere qualcosa di più ampio respiro. Volevo scrivere saghe storiche.
Esattamente quello che le volevo chiedere. Le piacciono le storie molto lunghe. Perchè?
Quando comincio a descrivere un mondo mi piace continuare a costruirci sopra.
In realtà non comincio pianificando di farlo ma, dopo un po’ che ci lavoro, questo mondo acquisisce una vita autonoma, prende una sorta di abbrivio e io mi ritrovo diciassette o diciannove libri più tardi, nella sola Shannara, senza riuscire a intravederne la fine prima di arrivare almeno a trenta volumi.
Attualmente sta pensando di cominciare una nuova saga o pensa piuttosto di continuare ad aggiungere particolari a mondi che già esistono?
Entrambe le cose. Voglio continuare a scrivere in questa serie. Poi prevedo un libro nel ciclo del “Regno Magico” (il ciclo di Landover). E voglio cominciare cose completamente diverse, scrivere il primo - forse due primi libri - e stare a vedere. Probabilmente nei prossimi cinque anni. Se l’uno o l’altro dovesse piacere, comincerei a scrivere una nuova serie.
Dunque i suoi lettori saranno sorpresi di nuovo?
Direi di sì. Artisticamente parlando, bisogna rinnovarsi ogni tot. L’ultima volta che ho cominciato qualcosa di diverso è stato con Verbo e Vuoto negli anni ‘90, poi alla metà degli anni 2000 sono tornato alle origini di Shannara. Ora sento che è il momento di scrivere qualcosa di completamente slegato da quello che ho scritto in precedenza.
Quindi le piace tornare spesso sui mondi che ha creato, aggiungendo sempre più particolari e arricchendone lo sfondo?
Be’, in realtà è più una questione di storia, lavoro su quella.
In Shannara, per esempio, ho svolto tutto il lavoro sulla storia partendo da un mondo distrutto da un cattivo uso della scienza, e che si ritira su grazie alla magia. Adesso assistiamo al ritorno della scienza, vedremo che impatto avrà questo su quel mondo e quale ne sarà l’effetto. È ciò su cui sto lavorando al momento.
Dunque lei non comincia immaginando prima un mondo e poi popolandolo con i personaggi.
No, Scrivo un libro per volta. Scrivere un libro ti dice come sarà il libro successivo. Faccio più di questo solo se sto scrivendo un gruppo di libri, una storia già impostata su una divisione in più volumi. Solo in quel caso pianifico in anticipo la fine dell’intero ciclo, riguardante quei determinati libri.
Allora quando lei sta scrivendo una saga non sa veramente come andrà a finire.
In effetti so come si concluderà, ma non so come si giungerà a quella conclusione, quali saranno i passi intermedi. Non so come si "risolveranno" i singoli personaggi.
Perciò non ha timore di uccidere i suoi personaggi, per esempio, se la storia lo richiede. Non teme le reazioni dei suoi lettori?
Mai avuto paura di ucciderli. In realtà penso che il lettore apprezzerà il fatto di non riuscire a immaginare come si evolve la storia. Nessun personaggio è veramente al sicuro, e io credo che una volta che i lettori capiscono questo la lettura diventa più emozionante rispetto a quando, vedendo un personaggio, possono già immaginare che cosa gli accadrà.
Mi piace tenere i lettori in sospeso.
Non è che magari a un certo punto lei trova noioso qualche personaggio e decide di ucciderlo per levarselo dai piedi?
No, no. Non uccido mai un personaggio o faccio qualcosa nella storia senza uno scopo. Tutti i personaggi sono lì per un motivo, per fare qualcosa. Se hanno un loro ruolo la loro fine deve avere un senso all’interno della storia. La fine di un personaggio è una cosa a cui penso sempre con grande attenzione, deve essere coerente, sto sempre molto attento. È molto importante.
Una mia curiosità. Come sceglie i nomi dei suoi personaggi o dei luoghi? Inventa prima una base grammaticale per la lingua oppure sceglie nomi che suonano bene per quella storia?
Immagino personaggi e luoghi che “suonino” bene. Ho sempre cercato di scegliere nomi che suonassero bene e che suggerissero qualcosa del personaggio o che “risuonassero” di un certo luogo.
Inoltre, sto molto attento ai nomi. In qualsiasi paese dove vado “rubo” nomi. A volte li uso in maniera “ibrida”, uso parte di un nome e parte di un altro. Li prendo dai cartelli stradali, dalle insegne dei negozi, dalle mappe, dalla topografia, da qualunque posto. Ovunque io trovi un nome interessante, me lo segno.
I nomi devono avere un elemento familiare, ma non del tutto. Non devono essere troppo familiari perché siamo pur sempre nel fantasy, devono essere in qualche modo diversi. Non posso usare nomi come John, non suonerebbe giusto. Ma bisogna anche che questi nomi non siano impronunciabili, e che non siano tanto estranei da impedirti di collegarti, anche emozionalmente, al personaggio. Come nella vecchia fantascienza. L’ho sempre ritenuto un grosso errore perché c’erano nomi anche di una decina di consonanti una dietro l’altra, e nessuno avrebbe mai potuto pronunciarli né entrare in relazione con essi.
Quello dei nomi pieni di consonanti era un approccio “gaelico”, per così dire…
Esatto, come nel gaelico. Anche se non scarto a priori nomi di ispirazione gaelica, solo che cerco di renderli sempre pronunciabili per il lettore.
Il nome Shannara mi suona un po’ irlandese, forse perché assomiglia a Connemara, la regione dell’Irlanda occidentale...
In effetti sì, ha un suono irlandese.
Però non ricordo come ho inventato questo nome, è passato così tanto tempo ormai, ho cominciato a scrivere questa storia nel 1968. Non ricordo più da dove ho preso quel nome.
La gente me lo chiede spesso, ma non so dare una risposta.
Ed ora è così celebre che molta gente pensa che sia un posto realmente esistente.
È vero, pensano davvero che sia un luogo! In realtà è un cognome, nel senso di una famiglia elfica, di una dinastia. “La spada DEI Shannara”, insomma. Non un luogo.
Parliamo del festival di Lucca. Immagino sappia che questa manifestazione riguarda soprattutto il mondo del gioco.
Sì, certo!
Quindi la mia domanda è: come mai ci sono tanti giochi di ruolo e da tavolo, anche molto popolari, derivati da romanzi fantasy e nessuno tratto dalla saga di Shannara o Landover? Non le piacciono i giochi in generale o il modo in cui un gioco può modificare la sua storia?
Questa domanda richiede una risposta articolata: sì e no. Sì, mi piacciono i giochi e no, non mi piacciono i giochi di ruolo.
Quando ero ragazzo giocavamo un sacco di “giochi di ruolo”, prima che chiunque sapesse cosa fossero. Giocando vicino casa noi ragazzini inventavamo dei ruoli e lo facevamo per tutto il giorno, in verità. Quanto ai giochi da tavolo, sì, mi piacciono. Mia moglie e io ne giochiamo molti, mi piace soprattutto Scarabeo. La maggior parte dei giochi da tavolo sono in realtà giochi di ruolo. Ma non sono un grande fan dei giochi in generale.
Ma c’è stato un gioco per computer: Shannara, della Legend Entertainment, del 1995!
In effetti sì, ma era orrendo!
Non sono mai stato convinto che sarebbe stata una buona idea fare un videogioco ispirato a Shannara. Come anche un film.
Perfetto, questa era la mia prossima domanda! E un film?
Be’, io sono sempre contento di prendere soldi per trattare in esclusiva con chi mi chiede i diritti per fare un film, però poi finisce che quelli tornano dicendomi: “guarda, non sappiamo veramente cosa farci con questa roba...”. Al che io dico “va bene”, e mi tengo i soldi. (ride)
Finora non ho incontrato qualcuno che abbia una forte percezione di cosa deve accadere nel film, il senso dell’azione. C’è bisogno che di qualcuno che faccia ciò che Peter Jackson ha fatto per Il Signore degli Anelli, un buon soggetto che vada dritto al punto. E sono sicuro che quando sarò morto da trent’anni qualcuno lo farà.
Ma in qualche modo lei sembra apprezzare il mondo del cinema. Ha scritto ben due romanzi tratti da sceneggiature di film molto famosi. Nel 1997 un romanzo tratto da Hook - Capitan Uncino e nel 1999 uno tratto da Star Wars I - La minaccia fantasma.
Ho fatto queste cose perché mi sembrava una buona idea. Mi sono divertito, in effetti... Mi piace Lucas e mi piace la saga di Guerre Stellari.
Come si comporta quando un disegnatore “si cimenta”con qualcuno dei suoi romanzi? Dà qualche consiglio oppure lascia che si regoli da sé?
Ho un rapporto professionale con gli artisti.
Molti scrittori non hanno il controllo delle loro copertine. Io sì. Ne ho il controllo dal 1992, quando è uscito La regina degli Elfi di Shannara e ho deciso di prendere il controllo del processo artistico.
Procedo così: parlo con il responsabile della casa editrice, discutiamo le scene principali, cerchiamo sempre di scegliere qualcosa che abbia a che fare con la storia principale. Mandiamo queste idee all’artista che deve fare la copertina. Poi esaminiamo gli schizzi del disegnatore e scegliamo quello che ci sembra più dinamico o rappresentativo. Poi l’illustratore si mette al lavoro e il processo giunge al termine.
Forse è per questo che lei non si sente a suo agio con i film? Fanno troppo quello che gli pare?
Gli scrittori hanno poco controllo nella trasposizione cinematografica delle loro opere. A meno che non tu non sia J.K. Rowling o anche... no, lei è l’unica, in realtà non mi viene in mente nessun altro!
La maggior parte degli altri autori non ha alcuna voce in capitolo riguardo ai film e alla fine si ritrovano con qualcosa che non gli piace. Quella è una strada che non mi interessa e non intendo percorrerla.
Passiamo alla musica. Quando leggevo la prima trilogia di Shannara ascoltavo un gruppo che secondo me era una perfetta colonna sonora per quelle storie. E per lei? Esiste un tipo di musica che si adatta ai suoi libri?
Generalmente non ascolto musica quando scrivo. Preferisco il silenzio, perché qualunque tipo di suono mi distrae. Ma la musica mi piace e l’ascolto molto, induce alla scrittura. Qualche volta è fonte di ispirazione, come un trampolino di lancio. La musica classica va benissimo, la ascolto, mi ci immergo, sognando tutto il tempo.
Comunque, il mio atteggiamento nei confronti dei miei libri è che cessano di essere miei quando li ho scritti, quindi i lettori sono liberi di fare ciò che vogliono con essi: possono pronunciare i nomi come vogliono, possono ascoltare la musica che preferiscono quando li leggono e così via.
Adesso è molto di moda da parte di certi autori ringraziare nella prefazione un gruppo musicale il cui ascolto li ha accompagnati nella stesura di un libro.
È vero, l’ho notato anche io, è molto diffuso anche negli Stati Uniti. Ma io sono stato spesso in luoghi diversi mentre scrivevo un certo romanzo, quindi non potrei essere legato a un solo tipo di musica o anche un singolo artista, perché i gusti cambiano. Quando un mio libro è finito, io non sono più la stessa persona di quando ho cominciato a scriverlo, quindi anche la musica che ascolto è diversa.
Come scrive? Ha bisogno di un luogo fisso dove rifugiarsi a scrivere oppure è capace di farlo in qualunque posto?
Io riesco a scrivere in un posto solo.
Davvero? E posso chiederle quale?
Sono un tipo un po’ ossessivo. (La moglie ridacchia e conferma) Mi piace che le cose siano al loro posto, ben organizzate dove io le posso vedere. E mi piace così. Non posso assolutamente scrivere in aereo, o in una stanza d’albergo o altro. Devo essere nel mio posto, altrimenti non posso concentrarmi. Posso pensare ovunque agli intrecci, ma non posso scrivere ovunque.
Parliamo un momento della letteratura fantasy in generale, di come viene percepita. Per esempio, in questa edizione italiana de La Spada di Shannara, del 1978, l’editore Mondadori sentì il bisogno di giustificare perché pubblicasse un romanzo fantasy, e sul risvolto di copertina scrisse: “Un capolavoro del suo genere che si apre a diverse chiavi di lettura: favola avventurosa per bambini, si presta a metafore esaltanti per i lettori adulti di cui soddisfa pienamente il gusto dell’evasione e il piacere di trovare, nel fantastico, i segni di alcuni universali problemi dell’esistenza”
Wow!! E’ roba seria! Comunque è tutto vero, ogni parola… (ride)
È buffo, no? Come se uno dovesse vergognarsi perché legge roba fantasy, come se fosse una fuga dalla realtà. Questo venne rinfacciato anche a Tolkien, che spiegò la questione dicendo che leggere fantasy non è la “fuga del disertore” (spinto dalla paura o dalla vigliaccheria), ma è piuttosto la “evasione del prigioniero”, guidato dal desiderio di libertà.
Accidenti... molto intellettuale! Molto “Tolkien”.
Secondo lei perché si sente il bisogno di giustificare il fatto che si legge (o si scrive) letteratura fantasy?
Non saprei. Non ho mai pensato che si debba analizzare ciò che si scrive o legge. Io penso si debba leggere qualunque cosa ci interessi.
Anzi, credo che sia una buona idea leggere molti libri diversi tra loro, appartenenti a diversi generi e argomenti. Un sacco di gente mi dice “ah, no, io non leggo libri fantasy”. Quando chiedo “perché no?” mi rispondono che preferiscono altri generi di letture. Quando mi fanno qualche esempio, di solito io gli dico “allora leggi fantasy!”, e loro “oh no, no, quella è letteratura, quella è mystery o altro...”
Quindi non so. Non so perché sembri tanto importante che cosa leggiamo, se ci piace. Nessuno dovrebbe giustificarsi perché apprezza un certo tipo di libri che magari non rientrano in un certo tipo di valutazione. Molti criteri di giudizio su cosa valga la pena di leggere sono del tutto artificiali. Forse che Harry Potter non merita di essere letto perché è roba per ragazzi? Ci sono moltissimi adulti in tutto il mondo che lo hanno letto e apprezzato. Dovrebbero essere tutti esiliati in un’isola solitaria per questo? Per dare una bella ripulita?
È una cosa stupida. Uno legge quello che gli piace.
Io leggo parecchia letteratura per ragazzi, veramente tanta. Ed è bellissima. Ci sono un sacco di ottimi autori in quel campo. Dovrei perdermeli solo perché scrivono cose per ragazzi?
Quindi a lei piace davvero Harry Potter?
Assolutamente sì.
Così fa molto contenta mia figlia, che è una grande fan di J.K. Rowling.
E ha ragione. È una fantastica scrittrice.
Alcuni scrittori, per esempio l’anno scorso Michael Moorcock che intervistammo proprio qui a Lucca, dicono che quando si scrive si racconta sempre se stessi, che i nostri personaggi in fondo siamo noi. È così anche per lei? Oppure lei riesce a rimanere del tutto estraneo ai suoi personaggi?
Direi di no. Io credo che uno scrittore non possa del tutto “divorziare da se stesso”. D’altra parte penso che in un certo senso Moorcock sbagli, perché credo che un autore non debba basare un personaggio su se stesso, non debba raccontare la propria vita. Però è impossibile tagliare fuori quello che pensi della vita, del mondo, non si può proprio fare. Perciò quello che sei, quello che pensi, se qualcosa ti infastidisce, prima o poi spunterà fuori in quello che scrivi, che ti piaccia o no.
La questione è che percentuale di te ci metti. Alcuni scrittori sono molto indulgenti con se stessi, raccontano sempre di sé. Altri sono il contrario. Quanto a me, io direi che non ci sono io nei miei personaggi, non c’è il mio mondo ma c’è la mia visione del mondo, le domande che mi pongo. Questo ha più senso.
Lei scrive storie molto lunghe che si sviluppano in parecchi libri. Come sceglie i protagonisti per queste saghe? I suoi personaggi sono tanti e così vari....
Questa cosa l’ho decisa molto tempo fa perché ero un appassionato di gialli, e avevo notato che gli scrittori di gialli che scrivono molti libri con lo stesso protagonista cadono sempre su un punto: dopo un po’ sembrano stufarsi del proprio personaggio e si trascinano stancamente. Puoi esattamente individuare il momento in cui si stufano e vorrebbero essere da un’altra parte a fare qualcos’altro, piuttosto che scrivere.
Ecco perché io non scrivo di un solo protagonista, ma di generazioni. Uso certi personaggi per tre, quattro libri e poi salto di tre-quattrocento anni in avanti e passo ai discendenti. Faccio lo stesso con il mondo in cui si svolgono le storie: posso sempre introdurre nuovi elementi, ricrearlo, renderlo più avanzato o cose così.
Ho letto in molte altre interviste che le sono state fatte che a lei non piace scegliere tra i suoi personaggi perché, la cito, “un padre non può avere un preferito tra i suoi figli”.
Esattamente.
Però un padre può onestamente dire quale tra i suoi figli è quello che ha avuto maggior successo....
Mah, anche questo è difficile da dire. In tanti anni molte persone sono venute a dirmi “questo è davvero il migliore dei tuoi personaggi”, oppure “questo è davvero il migliore dei tuoi libri”. Ma non sono certo di poter dire che uno ha avuto più successo di un altro. E ho diverse ragioni per considerare vari personaggi un successo. Per esempio, tutto il ciclo di Verbo e Vuoto è stato molto soddisfacente, è venuto esattamente come doveva essere.
E poi… i tempi cambiano e io vado avanti. Il mio miglior libro, per me, è quello che sto scrivendo ora, e lo stesso vale per il mio personaggio preferito. Non mi guardo mai indietro.
Per concludere, una domanda un po’ strana, off the record, per così dire.
Il primo libro della serie Verbo e Vuoto si intitola Running with the Demon (in italiano è uscito come Il Demone). Esiste un album di una rock band americana, i Van Halen, che si intitola proprio Running with the Devil. C’è un qualche aggancio tra le due cose?
(Ride) Be’, in effetti un aggancio con i Van Halen ce l’ho. Li ho “incontrati” a una convention negli anni ‘60, una Costume Masquerade di fantascienza. A un certo punto fece irruzione un bel gruppo di fan dei Van Halen. Ma poi è arrivata la polizia e li ha arrestati tutti.
E lei li ha tirati poi fuori dalla prigione? Essendo avvocato...
No, no, me ne sono ben guardato. Erano problemi loro e io non mi volevo immischiare.
Comunque l’album è del 1978, quindi è molto lontano dalla pubblicazione del suo libro, nel 1997.
E infatti non sapevo di questo album. Non ho mai ascoltato i Van Halen.
A questo punto l’intervista è ufficialmente finita, però, dato che siamo entrati in un clima più scanzonato, grazie ai racconti sugli stravaganti fan del mondo del rock, la chiacchierata continua su questi temi. Anche mio marito, Gregory, prende parte alla chiacchierata, e ne approfitta per prendermi in giro per i miei gusti musicali:
(G) Ma lo sa che il gruppo preferito di mia moglie Francesca è di Seattle?
Davvero? E come si chiama?
(F) (imbarazzata) Non credo li conosca... Si chiamano Queensrÿche.
No, in effetti non li conosco. Ma sono proprio di Seattle?
(F) Sì. Sono tutti nati e cresciuti là. Forse li ha sentiti nominare? Giocano a golf... magari anche lei?
No, veramente giocherò sì e no due volte l’anno. Ma come sarebbe che giocano a golf? Una rock band?
(F) Be’, veramente sono più che una rock band, fanno progressive metal...
Cosa? E giocano a golf? Ma voi state distruggendo tutta la mia visione sul rock...
(G) E non solo. Il loro vecchio chitarrista solista fa il pilota per una linea aerea dell’Alaska!!
Santo cielo, ditemi qual è questa compagnia aerea, così starò bene attento a non prenderla mai!
(Terry Brooks fa una buffa espressione a metà tra il divertito e il preoccupato…)
A questo punto, prima di salutarlo e ringraziarlo ancora, lo lascio alle domande di mia figlia Livia.
Salve, signor Brooks. Mi chiamo Livia e sono una reporter per il giornale della mia scuola, una scuola inglese di Roma.
Ciao, Livia. In che classe sei?
Sono in Grade 6. Ho tre domande da farle. Va bene?
Certo, comincia pure.
Ecco la prima: come le è venuta l’idea per scrivere La Spada di Shannara?
Cominci con una domanda difficile.
Volevo scrivere una saga in cui questo mondo, il vecchio mondo, è stato distrutto dalla scienza e quello nuovo è dominato dalla magia. Una storia in cui il protagonista, come Frodo nel Signore degli Anelli, fosse un tipo normale, niente di speciale, che non ha nulla a che fare con la situazione e che a un certo punto viene gettato in questa missione a causa di ciò che è, e deve prendere decisioni difficili. Fare la cosa giusta. Cercare di aiutare gli altri.
Non può dire “non è un mio problema, non devo essere coinvolto, che lo faccia qualcun altro”.
Ha mai letto le sue storie ai suoi bambini?
Direi di no. Le leggevo a mia moglie. Non è che ai miei figli piacessero tanto i miei libri. Preferivano libri gialli e thriller. E adesso sono parecchio grandi. Il mio figlio più giovane, un maschio, ha ora 26 anni. La mia figlia più grande compirà 50 anni l’anno prossimo. C’è una grande differenza tra i due, abbiamo una famiglia complicata. Ho anche una “figlia a distanza”.
Si identifica in qualcuno dei suoi personaggi?
Mi fai una domanda interessante. Prima tua mamma mi ha chiesto se baso i miei personaggi su me stesso… mentre identificarsi con un personaggio è una cosa diversa.
Sì, direi di sì. Mi identifico con Ben Holiday, il protagonista di Regno magico in vendita, un avvocato che si trova a comprare un regno incantato e ne diventa il re. Ho davvero amato molto quel libro, quando pensavo a come cambiare la mia vita diventando uno scrittore a tempo pieno. È davvero molto autobiografico, per certi versi. Ben Holiday somiglia molto a me, nel modo in cui pensa e si comporta, anche se lui tira di boxe e io no.
Le foto che corredano l'intervista sono di Gregory e Livia Alegi.