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Intervista a Roberto Furlani, in occasione del decennale di Continuum, e-zine di fantascienza da lui fondata e diretta
di Alberto Panicucci
[pubblicato su Continuum 35 nell'agosto 2011; su RiLL.it, con modifiche, da gennaio 2012]
Dal gennaio dell'anno 2000, nella galassia telematica è (a)periodicamente avvistata un'astronave molto particolare: si tratta della web-zine Continuum, fondata e diretta dal triestino Roberto Furlani.
Visto che le riviste amatoriali sono una parte importante del mio "cuore" di appassionato (di Giochi e di Fantastico), anche per (come dire?) esperienza personalissima, collaboro con piacere da qualche anno a questa avventura editoriale. Dico "avventura" perchè ogni rivista specializzata ha, sempre, vita difficile, e ancor di più se è realizzata non professionalmente, cioè lavorandoci nei ritagli di tempo delle vite già stra-piene di impegni ben note a ognuno di noi.
Per questo, il decimo compleanno di Continuum è un piccolo evento, ma di assoluto interesse, meritevole di un'intervista col suo capitano di lungo corso...
Un'intervista, rigorosamente, di dieci domande:
Dieci anni di Continuum. Ma perché Continuum? Nel senso: come nacque l'idea? Con quali intenti?
Internet non è solo il supporto su cui Continuum viene pubblicato, ma è anche e soprattutto l’humus da cui è nato.
La mia passione per la fantascienza è nata qualche anno prima della diffusione pervasiva e capillare del web: a occhio e croce allora mi stavo ancora trastullando con l’Amiga 500, con il quale scrissi i miei primi racconti.
Poi imparai un po’ di HTML, più incuriosito dalla sua interattività che per il desiderio di aprire una mia pagina web. D’altra parte, una volta che si ha la bicicletta tanto vale pedalare, così quando internet entrò in casa mia diedi vita a un piccolo sito personale contenente qualche recensione e poco altro. Stranamente, ebbi anche qualche feedback: ricordo un navigatore che mi scrisse infuriato come un toro dopo aver letto una mia stroncatura dell’anime “Galaxy Espress 999”.
Nel frattempo avevo cominciato a leggere Delos (in realtà tramite CD-ROM venduti con La Repubblica avevo già letto Terminus, da cui in seguito avrei pescato il racconto “Il tramonto” di Gianni Sarti), e iniziavo ad allacciare qualche contatto con alcuni autori nostrani, motivato dal desiderio di scambiare opinioni, leggere ed essere letto.
Nel ’98 conobbi invece di persona Fabio Calabrese, che cominciai a frequentare proprio per parlare della passione che ci accomunava e per scambiarci opinioni sui reciproci lavori.
Un giorno Fabio venne a trovarmi a casa e, tra le altre cose, gli mostrai quella mia home-page di cui dicevo. Mi sembrò molto interessato alla cosa, perciò gli chiesi l’autorizzazione di mettere on line anche qualcosa di suo.
Non si fece pregare, e mise a mia disposizione un bel po’ di materiale.
Il passo successivo fu la logica conseguenza di questa disponibilità: se alcune delle persone con cui avevo stretto delle amicizie epistolari avessero messo a mia disposizione qualcuno dei loro racconti o dei loro articoli, il mio sito personale si sarebbe trasformato in una vera e propria rivista di fantascienza.
Per fortuna alcuni degli autori a cui avevo chiesto un contributo me lo diedero ben volentieri, così nacque Continuum. Ed eccoci qui, dieci anni dopo.
C’è un motivo preciso dietro al nome “Continuum”? Come venne scelto?
Volevo un nome che fosse immediatamente riconducibile alla fantascienza, ma che non indicasse un’eccessiva specificità, una polarizzazione verso una determinata nicchia (chiamare la rivista Jedi, Enterprise o Matrix SF avrebbe lasciato intendere che la pubblicazione fosse focalizzata prevalentemente su un certo tipo di prodotto).
L’etichetta, dunque, doveva riportare alla science-fiction generalista che intendevamo proporre. Dato che Robot era già “occupata” e visto il mio personale gradimento per le storie di dimensioni spazio-temporali, pensai a Continuum. Fabio Calabrese, che mi affianca in quest’avventura, non ebbe nulla da ridire, così battezzammo la rivista con questo nome.
Se Continuum è un'astronave, come dicevo prima, tu, Roberto, ne sei senza dubbio il “Capitano Kirk”. Credo sia il caso di mettere la timidezza da parte e presentarti...
Capitano Kirk va benissimo, grazie: tonifica l’ego.
Sono nato a Trieste nel 1982. Mi mancano pochi esami per conseguire la laurea specialistica in ingegneria elettronica, dopo aver ottenuto quella triennale. Sono un appassionato di fantascienza, e più in particolare della narrativa fantascientifica (la science-fiction cinematografica e televisiva mi soddisfano molto meno, visto che lì spesso l’aspetto puramente coreografico e folkloristico prevale su contenuti e intreccio).
Miei articoli e (soprattutto) racconti sono stati pubblicati su diverse riviste (tra cui Delos, Perseo Libri, Fondazione, Future Shock, I Vedovi Neri, NeXT, Orient Express, URANIAsat, Terre Di Confine, oltre che RiLL), mentre altri racconti sono apparsi su antologie come “Futureline” (KultVirtualPress), “N.A.S.F. 2 - Utopia, distopia, ucronia”, “Supernova Express - Antologia manifesto del Connettivismo” (FantaNET), “Frammenti di una rosa quantica” (Kipple).
Per la legge dei grandi numeri, con tutta questa produzione narrativa sono riuscito ad ottenere qualche buon piazzamento ai concorsi nazionali di genere. Recentemente, a causa del moltiplicarsi degli impegni, la mia produzione personale è diminuita drasticamente, ma conto di riprendere a buoni ritmi non appena avrò un po’ più di tempo per tirare il fiato.
Che altro dire? Che mi piace la pasta alla carbonara vale?
La carbonara vale e va sempre bene, quando sei intervistato da un romano! Ma non divaghiamo… Piuttosto, ti chiedo: cos’è, per te, la fantascienza?
Faccio mia una definizione che diede qualche anno fa Renato Pestriniero, in un’intervista sulla fanzine cartacea Fondazione: la fantascienza è un’escursione tra i generi, non un genere vero e proprio. Questo perché un fantasy è un fantasy, un horror è un horror, un giallo è un giallo e così via, ma la fantascienza può essere tutte queste cose (e altro ancora) assieme.
È proprio questo che mi piace della fantascienza: offre l’opportunità di imparare (almeno in linea di principio) concetti di meccanica quantistica, di godersi una storia d’azione e mistero e (perché no) assistere anche ad una storia d’amore. Se non ci fosse la fantascienza, per soddisfare questi pruriti occorrerebbero almeno tre libri, e da buon pigro preferisco trovare tutto in un’unica soluzione.
Ma la fantascienza è anche la letteratura dell’improbabile: l’unico limite che impone è l’impossibile scientificamente noto (le esplosioni nello spazio e le spade laser di “Star Wars” costituiscono due colpevoli violazioni di questo principio). Il risultato è dunque una narrativa cerebrale, la cui parentela con giallo, thriller e spionaggio è molto più marcata di quella che si ha con fantasy e horror.
Va detto che l’improbabile di cui parlo è un territorio molto vasto e molto fertile, ancora in parte inesplorato e meritevole di essere visitato ulteriormente.
Quindi come vedi il mondo della fantascienza, oggi?
Credo che la fantascienza oggi stia vivendo un momento di confusione, nella quale fatica a trovare la propria dimensione e se stessa.
Se da una parte troviamo una tendenza degli autori a infilarsi in nicchie sempre più esclusive, settarie e circoscritte, dall’altra ci imbattiamo nel tentativo opposto, cioè di travalicare i confini (se non proprio di frantumarli) che separano i vari rami del fantastico. È un problema di senso della misura, se vuoi; quella che manca a molti degli autori odierni di hard-sf, che spesso e volentieri scrivono di complicati concetti scientifici senza preoccuparsi di (o, peggio, senza riuscire a) renderli comprensibili al lettore medio, ovverosia a quello che ha delle conoscenze scientifiche approssimative e lacunose.
Il massimo comun denominatore di queste tendenze (per certi versi antitetiche) è costituito dall’identikit dell’agnello sacrificale designato per percorrerle: il sense of wonder, inteso come l’attitudine a meravigliare attraverso logica e intelligenza che possano essere colte dal lettore comune.
La conseguenza è che oggi il mercato dei libri di fantascienza è tutt’altro che florido, e ciò si ripercuote anche nella cinematografia, nella quale la science-fiction offre spesso e volentieri trame deboli e inconsistenti, che usano roboanti effetti speciali come palliativo per l’assenza (pressoché totale) di sollecitazioni logiche e intellettuali. In un simile contesto, non dovrebbe sorprendere il fatto che nei gusti del pubblico riescano ad attecchire storie di vampiri innamorati o giù di lì.
Vista la precedente domanda, e la tua risposta, non posso che chiederti: perché Continuum, oggi?
Forse Continuum ha più senso oggi di quanto ne avesse ieri. Mi piace pensare alla rivista come a una squadra, e ho notato che anche molti collaboratori la vedono in questa maniera.
Ogni squadra che si rispetti dev’essere formata da un mix di esperienza e freschezza, ed infatti la nostra è composta da alcuni degli alfieri della nuova fantascienza italiana (si pensi ai Connettivisti), accanto a dei decani del nostro movimento (Altomare, Catani, Calabrese, Mongini, Sherwood, Ursini…). Considera anche la “generazione di raccordo” (Muzzi, Sarti…) e noterai subito come si cerchi di contestualizzare la fantascienza italiana in un discorso di continuità (e qui il nome Continuum calza a pennello) generazionale e tematica.
Pubblichiamo solo fantascienza e tutta la fantascienza (il che è una rarità, in tempi di commistioni di generi o di ghettizzazioni nei fan club), confezionando in un unico contenitore space-opera in stile anni ‘50 e fantascienza post-umana di questi anni 2000. Il tutto cercando di salvaguardare quel sense of wonder in via di estinzione di cui dicevo prima.
Guardando il panorama delle riviste di science-fiction italiane, ho l’impressione che la nostra linea editoriale sia tutt’altro che ovvia e diffusa, e per questo (cioè per garantire una fantascienza nuova che non tagli i rapporti col suo glorioso passato, per dare spazio a tutti i filoni che sono contenuti in essa senza però confonderla con altri settori dell’immaginario) ritengo che l’offerta di Continuum mantenga intatta la propria ragion d’essere.
La storia delle riviste amatoriali (fanzine cartacee o e-zine internettiane) è sempre un po’ avventurosa, perché chi le cura lo fa nel tempo libero, che è sempre (maledettamente) troppo poco. Ripensando a questi dieci anni di Continuum c’è qualche aneddoto, qualche retroscena che merita, in particolare, di essere raccontato?
Ne avrei parecchi: se dovessi raccontarteli tutti non mi basterebbe una giornata, quindi mi limito a qualche episodio particolarmente curioso.
Posso partire da una notizia di pubblico dominio, cioè dal fatto che Continuum detiene un primato veramente poco invidiabile: quello di essere stata la prima (e speriamo ultima) e-zine di fantascienza italiana che sia mai bruciata. A quel tempo la rivista era ospitata da Xoom (provider che poi ha stretto un sodalizio nefasto formando una triade di moggiana memoria con Virgilio e Tin), la cui sala macchine si incendiò a causa di un guasto, incenerendo fra l’altro migliaia di chilobyte della nostra testata. Ancora non siamo riusciti a recuperare per intero tutti i numeri, ma prima o poi provvederemo.
Passando a cose più allegre, beh... nell’ambiente di chi si occupa attivamente di fantascienza ci si conosce spesso e volentieri tramite mail, forum o semplicemente di “fama”, ma spesso e volentieri capita che non si sappia associare un volto al nome.
Mi è capitato di presentarmi a qualcuno che dal vivo non avevo mai visto prima: “Piacere, Roberto Furlani.”
“Ah, Continuum!” mi sono sentito rispondere senza esitazione.
Capito? Non “Ah, quello di Continuum!”, ma proprio “Ah, Continuum!”. In quelle occasioni credo di aver compreso com’è che si deve sentire un uomo-sandwich.
Ma forse la cosa che più mi ha colpito è stato quando alla porta di casa mia ha suonato un postino molto particolare. Si trattava di Gianni Sarti, venuto a sorpresa fino a Trieste (lui abita a Lido di Ostia) per portarmi delle copie di una sua antologia personale, di cui io avevo scritto la prefazione. Il punto è che Gianni ed io ci conoscevamo da dodici o tredici anni, da quando cioè lo avevo contattato per mail dopo essere stato folgorato dalla lettura del suo racconto “Il tramonto”, ma quella fu la prima volta che ci siamo trovati faccia a faccia. Abbiamo passato due giornate memorabili, che custodisco come un carissimo ricordo.
Giochino del decennale. Puoi chiedere a un personaggio per te irraggiungibile (perché non hai il minimo contatto con lui o anche perché è morto o perché é un personaggio letterario) un pezzo per Continuum. A chi lo chiedi? E cosa gli chiedi?
Visto che mi esorti a spararla grossa non mi farò pregare.
Disturberei Isaac Asimov e gli chiederei un racconto inedito ambientato nell’universo narrativo della sua Saga Galattica (scelga pure lui autonomamente se piazzare il palcoscenico nel Ciclo dei Robot, dell’Impero o della Fondazione).
I motivi per cui glielo chiederei sono facilmente intuibili. Anzitutto, credo che gli accessi alla nostra rivista crescerebbero di N volte, con N numero intero estremamente grande, e non posso negare che la cosa mi darebbe parecchia soddisfazione. Ma soprattutto perché Asimov potrebbe darmi una mano a promuovere quella fantascienza accattivante e intelligente che cerco di proporre quanto più possibile su queste pagine!
Ripensando a questi dieci anni dalla tua “posizione” di… Capitano Kirk. Cosa hai imparato da Continuum?
Ho imparato molto, soprattutto in termini di organizzazione e di lavoro di equipe.
A essere sincero, per indole sono uno a cui piace lavorare per conto suo, e anche al di fuori dell’ambiente lavorativo (o pseudo-lavorativo, visto che la mia attività su Continuum non mi riempie il piatto, ma è comunque una faccenda seria e impegnativa) non sono un coltivatore intensivo delle pubbliche relazioni. Per carità, so stare in mezzo alla gente in modo cordiale e piacevole, però non chiedetemi di organizzare qualcosa o di fare una vita eccessivamente “mondana”!
La gestione di Continuum implica un rapporto forte e continuativo con tante intelligenze diverse, ognuna con le sue peculiarità, i suoi gusti e le sue idiosincrasie. Si tratta di una sovrastruttura indispensabile, senza la quale la rivista non esisterebbe. Il fatto che invece esista da dieci anni dimostra che, almeno in parte, sono riuscito a far fronte a quelle che sono le mie inclinazioni naturali.
Ho imparato anche che ci sono tanti autori nostrani che non hanno ancora trovato spazio altrove, e che vanno valorizzati per poter permettere la crescita e il ricambio generazionale all’interno del nostro movimento.
Un autore che ci manda i propri lavori si sottopone inevitabilmente a una valutazione e (qualora serva) ad un po’ di editing. Questo confronto risulta sempre costruttivo, e talora contribuisce a trasformare un autore dalle belle speranze in uno “scrittore di razza”.
Ma la crescita non avviene solo per mezzo dell’editing e dei commenti, bensì anche per la possibilità che ha l’autore esordiente di pubblicare le proprie opere accanto a quelle di nomi affermati che hanno contribuito a fare la storia della nostra fantascienza. È anche per questa ragione che uno dei nostri propositi è quello di pubblicare assieme autori esordienti, “vecchia guardia” e scrittori che si erano segnalati in passato ma che poi si sono un po’ persi per strada.
Le riviste di appassionati sono da sempre delle piccole community (perché, ça va sans dire, c’è una passione in comune di mezzo!). Che rapporto ha Continuum con i suoi lettori e i suoi collaboratori?
I rapporti con la community sono veramente ottimi.
Inizialmente, quando Continuum era un gruppo di poche unità, andavo spesso a caccia di altre collaborazioni per poter costruire un nucleo più solido, attraverso il quale poter garantire una certa programmabilità a lungo termine delle uscite della fanzine. Successivamente, quando Continuum ha assunto maggiore notorietà tra gli appassionati di fantascienza, sono arrivate all’indirizzo di posta elettronica della rivista (continuum_sf@yahoo.com) diverse proposte di collaborazione, negli ambiti più disparati (dalla narrativa alla saggistica, passando per le illustrazioni e gli aspetti squisitamente web). In generale, sono molti i tipi di mail che riceviamo: non solo proposte di collaborazione o richieste di pubblicità, ma anche richieste di consulenze, segnalazioni di errori, domande a proposito di quello che pubblichiamo e dei nostri programmi, contestazioni su posizioni assunte da qualcuno dei nostri autori e complimenti per il lavoro che svolgiamo. Sì, direi che i rapporti con la community sono decisamente buoni.
Cosa aggiungere, a intervista finita?
Beh... Ho letto una volta che ogni rivista è il suo pubblico di lettori, più o meno fedeli. E qualcuno, mooolto prima di noi, nello scrivere si riferiva ogni tanto ai suoi 25 lettori…
Continuum, sicuramente, in questi anni ne ha avuti molti di più, e qualcuno di questi è anche diventato un collaboratore (il sottoscritto, ad esempio). Avere conferma dal buon Roberto che il piccolo mondo di Continuum è vivo, vitale, vivace, intorno alle pagine che nel web numero dopo numero vengono riempite, non può che far piacere. Viene da pensare che questo festeggiato nel 2011 non è il decennale di Continuum, ma il PRIMO decennale di Continuum.
…ed è una gran bella differenza, non trovate?
Nella foto: la "delegazione" di Continuum in un momento di Science plus Fiction, festival cinematografico triestino dedicato al fantastico e alla fantascienza. Da sinistra: Fabio Calabrese, Roberto Furlani e Gianni Ursini.