Dovendo scrivere

Vizi e vezzi, trucchi e verità del mestiere dello scrittore
di Massimo Mongai
[pubblicato su RiLL.it nell'ottobre 2003]

Queste due parole, "dovendo scrivere", sono al tempo stesso titolo, battuta e chiave di volta del tutto.
Perché c'è chi "deve" scrivere. Ad esempio io scrivo perché devo.
Per una forte pulsione interna, antica ed onnipresente: ho cominciato con lo scrivere il diario a 11 anni e, a 52, sono 22 che scrivo come professionista.
E devo scrivere perché non ho alternative. Ad esempio scrivo perché mi devo pagare le bollette, il pane e le ciliege, come si dice e, nonostante una laurea in Legge, io solo questo so fare, scrivere; e vivo scrivendo, il mio reddito da 22 anni da questa attività viene e non da altra. Anche se da sei mesi sono costretto anche a lavorare in un call-center della Telecom, ma questo accade perché mi sono ritrovato con un debito imprevisto da pagare e devo guadagnare molto. Il che ci porta alla constatazione antica che nella maggior parte dei casi a scrivere si guadagna poco.

Insomma, si deve scrivere perché sì, o per lo meno c'è chi scrive perché deve.

Lo scrittore è colui che è pagato per farlo? Lo scrittore è chi pubblica? No, lo scrittore è colui che scrive punto e basta. Quello pagato è lo scrittore professionista (o professionale: è leggermente diverso, ma è un altro discorso) e quello pubblicato è solo uno scrittore pubblicato.
Certo pubblicazione e soldi sono una meta necessaria, imprescindibile, essenziale ai fini del testo, della storia; ma che non qualificano una persona come scrittore o scrittrice.

Il fatto è che non si scrive mai per se stessi: chi lo dice mente, ormai lo si sa. Non ha importanza "perché" si scrive, questa è cosa che non riguarda il lettore (se non in minima parte e per pura curiosità); riguarda se mai lo psicoanalista dell'autore o chi per lui. Perché VOI volete scrivere, perché IO voglio scrivere non conta (anche perché lo sappiamo benissimo tutti: io lo faccio e voi lo fate, o lo farete, per gli ori e gli onori, qualunque forma assumano per voi).
Ma senza dubbio, a prescindere dal perché, si scrive PER GLI ALTRI, si scrive PER ESSERE LETTI, il che vuol dire essere pubblicati, il che vuol dire che ciò che scrivete o avete scritto deve diventare anche una pura e semplice MERCE; e se c'è chi ne fa commercio (editore, distributore e libraio) è giusto ne venga una parte anche a voi. Si suppone che più sarete bravi più guadagnerete, e più sarete famosi; ed è vero, solo che non è detto accada né sempre né nel corso della vostra vita.
Si deve scrivere pensando che si dovrà essere pubblicati, sapendo che non è detto che ci si riuscirà.

Ma come vedete, tutto continua a ruotare intorno al concetto di base, il "dover scrivere".
Se non avete questa necessità, non è detto che non l'avrete. Ma, più o meno, finché non l'avrete non diventerete scrittori, men che meno scrittori pubblicati.

C'entra molto il talento. Ma il talento è un mistero di cui non è possibile parlare: è come una luce molto forte, o anche solo intensa, che di fatto però confonde la vista.Uno il talento, se ce l'ha, prima o poi lo scopre.

C'entra molto la tecnica: le scuole di scrittura creativa, gli strumenti, le conoscenze, l'allenamento; e poi i trucchi del mestiere, l'esperienza. Senza mai dimenticare cosa significava in greco la parola "tecné": arte. E la tecnica qui vorrà dire conoscenza dei mezzi e del fine, degli strumenti e della riflessione che su questi strumenti si fa, oggi, al mondo.

Nella foto: Massimo Mongai con Francesco Ruffino, nel corso di un evento RiLLico a Lucca Comics & Games. (fonte e fotografo: Alberto Panicucci)

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