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di Stefano Andrea Noventa
Secondo classificato al XV Trofeo RiLL
[racconto presente nell’antologia Cronache da Mondi Incantati, Nexus Editrice, 2009]
Il vecchio era prostrato ai suoi piedi: ginocchia a terra, la testa vicina ai palmi posati al suolo. Vestiva un saio marrone, sgualcito, stretto in cinta da una corda nera.
“Alzatevi” ordinò l’imperatore, e l’uomo obbedì: si mise prima carponi, poi si rizzò in piedi, mantenendo sempre lo sguardo al suolo, in atteggiamento deferente; aiutato dalla schiena ingobbita di chi è stato, anno dopo anno, chino sui testi.
L’imperatore lo squadrò ancora una volta: sotto alla zazzera spettinata e alla barba incolta vi era l’accenno di un volto dai tratti grezzi, come pietra intagliata senza cura o perizia; ma gli occhi, quegli occhi scuri, celati dai sottili occhiali dalla montatura dorata e da diafane lenti di vetro, rivelavano un’intelligenza acuta e profonda, capace di avventurarsi lungo sentieri che pochi avevano la capacità di battere.
L’imperatore si guardò attorno: il laboratorio dell’indovino era tappezzato di tomi polverosi, rilegati a mano. Migliaia di scartafacci costellavano pareti e tavoli, come un mare che lambiva scogli di alambicchi e contenitori dalle forme peculiari: liquidi dai colori variegati ribollivano su fiamme azzurrognole o verdastre. Un odore acre d’incenso e licori misteriosi aleggiava nell’aria, mescolato al fine odore della polvere che ricopriva, come brina, zone inesplorate di quel piccolo mondo.
La scorta privata e il suo attendente, un effeminato giovane ricoperto di raso, oro e seta, aspettavano in silenzio, accanto all’ingresso, che egli si pronunciasse; e il ragazzo, i cui occhi erano sottolineati da una cupa linea di belletto, lo fissava con intensità e desiderio: l’imperatore sapeva di essere la sua sola ragione di vita, il fulcro della sua intera esistenza. L’imperitura felicità del suo signore era il premio più ambito per quella mente votata al sacrificio.
Le guardie, invece, erano solo rozzi soldati, la cui paga e i cui privilegi bastavano a comprare una fedeltà temprata dal potere.
“Allora” mormorò infine rivolto verso l’indovino, che attendeva in silenzio con il capo chino al suolo “siete riuscito a creare quel che vi ho chiesto?”
“Sì, mio signore” rispose il vecchio, titubante.
“Dunque, mostratemelo” l’esortò l’imperatore, e l’uomo annuì rapidamente, si avvicinò a un involto di panno, posato su un tavolo, e fece per svolgerlo.
“Fermo” ordinò l’imperatore. Fece cenno alle guardie di uscire dalla sala e queste obbedirono, richiudendosi la porta alle spalle. Solo l’attendente rimase, letale guardiano del suo signore: se l’alchimista fosse stato meno spaventato da quella presenza avrebbe potuto notare che il giovane teneva sempre una mano vicina al petto, dove un pugnale intriso di veleno attendeva solo di essere sfilato per andare in cerca di un nuovo fodero. “Ora potete mostrarmi il risultato del vostro lavoro.”
Il vecchio obbedì e, tenendo tra le braccia il fagotto come se fosse un figlio, svolse i lembi del panno e ne estrasse un libro rilegato in cuoio rosso. Un tomo anonimo, senza alcun dettaglio o forma sul dorso e sul piatto della copertina, eccetto il colore vermiglio del quale pareva brillare.
“Ecco, mio signore” mormorò l’indovino, porgendogli l’artefatto. “Pelle di drago, pressata e intrecciata a pergamena, forma ogni pagina. Nervi sottili e tendini formano la garza e trattengono il capitello. Bagnato nel sangue di drago da un servo cieco, per trenta giorni e trenta notti, pagina per pagina.”
“Sembra un libro comune” esclamò l’imperatore, afferrando il volume per il dorso e facendo poi scorrere le dita sul canalino e sull’unghiatura. Sfogliò le pagine con un rapido colpo del pollice. “Ma... sono vuote!”
“Sì, mio signore. L’inchiostro appare solo quando si cerca di leggere.”
“Capisco. E questa strana luce, che sembra emanare dal nulla, dimostra forse la sua natura divina?”
“Sì, mio signore” annuì il vecchio.
“Molto bene” esclamò l’imperatore soddisfatto. “Quindi per…”
L’alchimista annuì: “Sì, maestà, basta che leggiate.”
L’imperatore aprì il libro alla prima pagina e fissò silenzioso il tenue lucore dello spazio vuoto che campeggiava innanzi ai suoi occhi, finché, lentamente, come stille di sangue che fuoriuscissero da sottili pori, minute file di parole si formarono una dopo l’altra. Sgorgando dal profondo, si accodarono come insetti dalle ali leggiadre, minuscole libellule dense di significato. Le lesse ad alta voce: “Con tono stupefatto dall’incredibile portento che si rivelava ai propri occhi, l’imperatore lesse le parole del libro dei profeti, e quasi si dimenticò di chiedere all’indovino se egli avesse mai fatto uso di tale libro.” Sollevò lo sguardo verso l’uomo, che si schermì.
“No, mio signore, no. Non avrei mai osato.”
L’imperatore continuò: “No, mio signore, no. Non avrei mai osato, rispose infatti l’indovino, ed egli sorrise, poiché poteva leggere nei suoi occhi che non stava mentendo. Il libro dunque era suo, a questo punto poteva pure ordinare al suo fidato attendente di sbarazzarsi di quell’uomo geniale e ingenuo, ma ormai scomodo.”
L’indovino impallidì: “Pietà, no…” esordì, ma non riuscì a dire nient’altro.
Il giovane dagli occhi bordati di nero colmò in un soffio la distanza che li separava e gli conficcò una lama nel petto, mentre con la mano destra gli impediva di urlare. L’imperatore chiuse il libro con uno scatto, mentre il vecchio si accasciava al suolo privo di vita.
“Dai fuoco a questo posto, e uccidi i servi dell’indovino” ordinò uscendo dalla stanza, con il libro stretto tra le mani. Il giovane annuì.
All’esterno del laboratorio dell’alchimista lo attendevano le guardie e la carrozza, la foresta si estendeva tutto intorno, colmando lo spazio fino all’orizzonte. Nessuno in città avrebbe saputo chi aveva compiuto quella strage: briganti, balordi, ribelli. Forse l’indovino aveva sbagliato un esperimento. Forse era stato derubato, in fondo viveva con pochi servi, nel folto di quella foresta. Forse i ribelli avevano razziato le sue ricchezze per continuare la loro lotta contro l’imperatore.
Sì, certamente, doveva essere stato così: i ribelli, erano stati loro. Quando si fosse saputo della tragedia, avrebbe alzato la taglia sulla testa dei loro capi. Per quei folli sarebbe stato sempre più difficile nascondersi. Adesso avevano molti alleati fra la popolazione, ma un domani… con questi crimini orrendi che stavano compiendo...
Prima o poi li avrebbe stanati: soprattutto ora che aveva a sua disposizione un simile potere. Un potere divino: il libro dei profeti.
Accarezzò il libro e lo ripose in una tasca del mantello. Quindi si avviò verso la carrozza. Dietro di lui non si alzava alcun grido: la morte talvolta sapeva essere così silenziosa... e giovane. Mise un piede sulla predella e si diede un lieve slancio per entrare nella carrozza, quando un improvviso rumore di vetri infranti giunse alle sue spalle insieme a un grido di donna.
Si voltò e vide una giovane che cercava di rialzarsi, dopo esser volata attraverso una vetrata. Piccole fiamme scarlatte si alzavano dietro di lei, e un sottile rivolo di fumo iniziava a uscire dalla finestra.
I soldati le furono addosso in un attimo, pronti a ucciderla al suo comando.
“Portatela qui” ordinò, e quelli obbedirono: sollevarono di peso la giovane che scalciava e la portarono al suo cospetto.
L’imperatore la squadrò. Se rammentava bene era la figlia dell’indovino. Poteva anche riconoscere in lei gli stessi tratti grezzi del padre, nonostante vi fosse infusa una certa grazia a compensare la mano del dio imperfetto che le aveva disegnato i lineamenti: non era bella, eppure aveva qualcosa che la rendeva attraente.
Forse la linea degli zigomi, o il taglio delle labbra.
“Assassino!”, gridò la ragazza, ma con un ceffone una guardia la zittì subito: il guanto di ferro parve tuonare contro la carne e un rivolo di sangue le colò lungo il mento, mescolandosi alle lacrime che le scendevano dagli occhi. L’imperatore sfilò un fazzoletto di tasca e le pulì il viso.
“Mi spiace per vostro padre, davvero” disse. “Era un uomo di così raro talento. È stata una tragedia sacrificarlo alla ragion di stato.”
“Siete un mostro.”
Una guardia sollevò la mano per colpire ancora, ma l’imperatore la fermò. Non aveva intenzione di sprecare così impunemente un giovane fiore.
“È quello che molti pensano. Ma vi sono momenti in cui bisogna avere la forza e il coraggio di essere odiati.” Guardò i soldati: “Legatela e caricatela nella carrozza.”
I soldati obbedirono e così, quando l’imperatore riuscì finalmente a entrare nella sua carrozza, la trovò lì, seduta davanti a lui, che lo fissava con occhi carichi di odio.
“Siete solo un assassino” inveì, ma non poté fare altro: era stata legata a una manopola dorata che le sporgeva accanto.
Lui le sorrise e scosse la testa: “Se lo fossi, sareste già morta” mormorò soltanto, poi estrasse il libro dalla tasca interna del mantello e lo soppesò in silenzio, mentre aspettava il ritorno del suo sicario. Lo aprì e ne sfogliò alcune pagine.
All’esterno il calore dell’incendio cresceva sempre di più e l’odore del legno bruciato stava riempiendo l’aria, diffondendosi in ogni direzione.
“Come vi chiamate?”
Ma lei non rispose e cominciò invece a guardare fuori dalla carrozza.
“Guardava fuori dalla carrozza, come se desiderasse una libertà che non poteva più raggiungere” lesse il sovrano a voce alta, reggendo il libro davanti a sé, con una mano, un poco sollevato. “Ma in cuor suo quella giovane dal nome sconosciuto non poteva sapere quanto dolore costasse all’imperatore aver dovuto assassinarne il padre. Forse lei pensava, nella sua ingenuità, che un impero così vasto potesse, davvero, essere governato con la sola saggezza; che milioni di persone potessero, davvero, essere soddisfatte dell’operato di un singolo uomo; ma in realtà non si rendeva conto che a volte, alla saggezza, andava sostituita la forza. Fu solo in quel momento, mentre l’imperatore leggeva le parole scritte nel libro dei profeti, che ella comprese per cosa suo padre avesse lavorato. Quale incredibile potere avesse risvegliato, per riporlo nelle mani di un uomo che, forse, avrebbe saputo come amministrarlo. E nel momento in cui ella comprese tutto questo, il giovane attendente del sovrano, colui che aveva ucciso suo padre e tutti i suoi amici, entrò nella carrozza.”
“Mio signore, il vostro ordine è stato soddisfatto” esclamò il giovane osservando la ragazza, divertito. La linea sottile di colore, sotto ai suoi occhi, era stata sbavata dalle lacrime: certo causate dal calore dell’incendio. Lui non piangeva mai.
“Molto bene, ora siedi con noi e dai l’ordine di partire.”
Il giovane obbedì, sporgendo dal finestrino della carrozza, e pochi istanti dopo tornò a sedersi dallo stesso lato della ragazza. Lei lo fissava con intensità innaturale.
L’imperatore aprì il libro e guardò le pagine.
“La carrozza si mise in moto, seguita dallo scalpitare frenetico degli zoccoli dei cavalli. Alcuni uomini dell’imperatore si accodarono, altri lo precedettero per andare in avanscoperta” lesse lentamente. “Passarono accanto alla carrozza, sfrecciando avanti, lungo il sentiero. Eppure lei non li vide, perché dentro la sua anima ardeva solo il desiderio di uccidere l’assassino di suo padre; ma la corda era stata stretta con troppa forza: non riusciva a liberare i polsi. Quindi tornò a guardare all’esterno, a fissare la libertà che se andava in silenzio, spezzata dal cigolio delle ruote della carrozza lungo il sentiero.” A quelle parole la ragazza sobbalzò e arrossì.
L’imperatore sollevò gli occhi dal libro e fissò il suo giovane aiutante.
“Funziona” mormorò soltanto.
“Sì, mio signore.”
Poi tornò a leggere, a vedere il proprio futuro, a scoprire cosa sarebbe accaduto: era l’unico modo che aveva per fermare i ribelli, per salvare l’impero, per prevenire le regioni confinanti prima che muovessero guerra. Vedere nel futuro, e comportarsi di conseguenza, alterarlo a proprio piacimento.
Lesse con bramosia e curiosità, appagato dalla surreale consapevolezza che ciò che stava leggendo sarebbe accaduto davvero: prima di lì a pochi minuti, poi di lì a poche ore.
Vide la placida superficie di un lago scivolargli accanto, proprio come aveva letto. Le sue avanguardie incrociarono dei viandanti, proprio come era scritto nel libro dei profeti. Con dolore diede ai suoi uomini il compito di ucciderli, perché troppo vicini alla casa dell’indovino… e così sul libro era scritto.
“Funziona davvero” disse, sapendo che per quei delitti avrebbe accusato i ribelli.
Quando lesse di altri viandanti diede l’ordine di cambiare strada, più e più volte, fintanto che, dopo qualche ora, reputò ormai sicura la distanza che li separava dalla casa dell’indovino. Quindi tornò a immergersi nella lettura, finalmente sereno: un lungo viaggio lo separava dal suo palazzo.
E così lesse, e scoprì che, più avanti andava nel tempo, meno i dettagli forniti dal libro dei profeti si facevano precisi. Come se fosse impossibile descrivere il futuro in tutta la sua interezza. Scoprì inoltre che il libro sembrava seguire la linea dei suoi pensieri, e gli forniva proprio quelle spiegazioni di cui lui aveva bisogno; come se potesse vedere il fluire dell’intero mondo, ma trattenesse e gli donasse soltanto ciò che lui chiedeva, ciò che a lui serviva.
Fu così che apprese del momento della propria morte, quella sera stessa, complice il fatto che, nell’allontanarsi per un intero giorno da palazzo, aveva permesso ai congiurati di predisporre una degna accoglienza, accelerando i loro piani.
Il tradimento serpeggiava attorno a lui, nutrito da uomini di cui egli si era sempre fidato. Taluni lo osteggiavano perché, come i nobili e i popolani ribelli, credevano fosse diventato soltanto un imperatore sanguinario e assetato di guerra: poveri stolti che non vedevano i nemici della nazione pronti a colpire. Altri invece desideravano deporlo per puro interesse personale; e questi ultimi erano di certo i più pericolosi: coloro che avevano fornito ai ribelli, agli idealisti, le armi e l’occasione di divenire marionette nelle loro mani.
Sospirò e osservò i due giovani seduti davanti a lui: la ragazza continuava ostinata a guardare fuori dalla carrozza, come se realmente non si trovasse in loro compagnia; non tentava più neppure di liberarsi, restava in silenzio ad attendere un futuro di cui non sapeva nulla. Il giovane attendente invece la sorvegliava con discrezione.
“Ferma la carrozza” ordinò il sovrano, e il giovane obbedì.
“Raggiungerai il palazzo prima di me” spiegò poi, quando il suo fedele alleato tornò a guardarlo. “Devi fermare una congiura. Non sarà facile, ma puoi farlo” e gli fece una lista di persone che dovevano essere uccise o catturate, gli spiegò come poteva catturarli e quali erano i loro moventi. Scorse negli occhi del giovane prima stupore per le incredibili rivelazioni, poi odio per i loro comuni nemici, quindi la risolutezza che lo contraddistingueva nell’eseguire gli ordini ricevuti. Lui invece si sarebbe fermato per qualche ora in quel luogo; soltanto dopo sarebbe ripartito.
“Quando sarà tutto finito” concluse poi “raggiungimi.”
Il giovane annuì, in pochi istanti radunò dieci uomini e partì per il palazzo.
L’imperatore tornò a sedersi nella carrozza, sospirando: altro sangue versato.
“Il libro di mio padre vi ha salvato la vita” commentò la ragazza.
Nel suo tono non c’era né gioia né rimpianto, solo una nota d’ironia.
“Gliene sarò eternamente grato.”
“Già, ho visto come...”
L’imperatore finse di non sentire e tornò a leggere. Ogni cosa adesso nel libro stava cambiando, la sua vita non era più quella che aveva appena letto. Ma un’altra, una migliore, nella quale riusciva davvero a sfruttare il libro dei profeti proprio per il fine per il quale l’aveva fatto costruire: un fine che l’indovino e i ribelli non potevano capire, nella loro semplicità.
E le parole divennero ben presto immagini nella sua mente: vide i ribelli impiccati e la guerra esplodere con i regni vicini, vide duri anni di stenti e fatica, ma poi ogni cosa iniziò a volgere per il meglio, proprio come lui aveva pensato e sperato. L’aver anticipato la guerra gli avrebbe permesso di vincere, di salvare l’indipendenza del proprio impero, la sicurezza del proprio popolo. Sarebbe riuscito a stabilire i trattati migliori con i regni confinanti, avrebbe espanso l’impero, la popolazione sarebbe cresciuta in numero e ricchezza. L’impero sarebbe diventato un luogo prospero e sereno e in quella pace e abbondanza avrebbe trascinato anche i regni confinanti, la spirale di odio avrebbe finalmente avuto fine.
E lui... lui si sarebbe sposato, proprio con la giovane ragazza che aveva davanti, perché anche lei, con il passare degli anni, avrebbe compreso come l’aver fatto di suo padre e dei ribelli un sacrificio sull’altare della patria avesse poi dato spinta e impulso al futuro: la morte di alcuni per il beneficio di molti, una decisione che solo un grande imperatore poteva prendere. Avrebbero avuto due figli, orgogliosi e forti, e lui sarebbe stato fiero di loro. Li avrebbe cresciuti nella pace, nella serenità, nell’amore, avrebbe giocato con loro e per loro avrebbe amministrato l’impero: per consegnare nelle loro mani un paese ricco, potente e pacifico. Avrebbe amato sua moglie, e ne sarebbe stato ricambiato, fino all’ultima scintilla della loro vita.
Continuò a leggere nonostante gli occhi iniziassero a essere affaticati dal tempo.
Rapito dalla lettura, dalla visione estatica del proprio futuro, l’imperatore visse quei momenti come se fosse stato presente. Li avvertì nel proprio animo, scorrere in lui come il tempo, con il potere della vita stessa: le carezze di sua moglie, le risate dei suoi figli. Soffrì e amò insieme al suo popolo, combatté in guerra, affrontò con forza i tradimenti e visse, finalmente amato e compreso; visse, fino al momento supremo: quello della propria morte. L’istante ineluttabile che tutti devono affrontare: quando si incontra se stessi e la propria, ultima, e unica, vera paura.
Solo in quel momento si rese conto del terribile errore che aveva commesso.
“Aveva sottovalutato il potere del libro dei profeti. Non si era reso conto che, più leggeva, più il suo tempo passava e la vita scorreva verso l’ineluttabile fine. Aveva forse desiderato troppo? Di certo quello fu il tradimento più grande che avrebbe mai potuto subire: l’indovino era uno dei capi dei ribelli e il libro era solo una trappola tesa sul suo cammino” lesse con voce roca, spenta dalla vecchiaia. Si guardò le mani avvizzite, la pelle incartapecorita, e sentì gli occhi farsi sempre più piccoli e deboli; ma continuò a leggere: “A nulla sarebbe valsa la corsa disperata del suo giovane attendente, che stava tornando indietro dopo aver intuito la terribile trappola in cui era caduto il suo signore. Se avesse sollevato lo sguardo, l’imperatore avrebbe visto negli occhi della giovane, che gli sedeva davanti, solo il riflesso di un vecchio dai lunghi capelli grigi. Quella giovane ancora troppo ingenua, troppo scossa dalla morte del padre per fermarlo: l’aveva invece guardato morire” continuò con voce sempre più rauca e stanca; ma sollevò gli occhi con orgoglio sulla ragazza, e nella lacrima che vide scenderle lungo una guancia credette di scorgere la dolorosa comprensione del loro tragico destino.
“Una lacrima scese anche lungo il suo volto e, nonostante parlare gli costasse ormai fatica, lesse a voce alta, affinché colei del cui amore il suo cuore era ormai colmo, sapesse cosa aveva perduto; la pace che a causa sua l’impero non avrebbe mai conosciuto; la felicità che lei non avrebbe mai provato. Troppo tardi, infatti, lei comprese: l’imperatore sarebbe morto, sapendo però in cuor suo di aver vissuto, attraverso il libro dei profeti, una vita meravigliosa che gli altri non avrebbero condiviso. Un mondo di pace che non avrebbero mai visto. Fu per questo, forse, che morì, con un sorriso, fiero... sulle labbra...”
Poi sentì il libro scivolargli di mano.
Stefano Andrea Noventa è nato a Padova nel 1980.
Laureato in Fisica e Dottore di Ricerca in Scienze Cognitive, attualmente lavora all’Università di Tübingen, in Germania.
È appassionato di musica, film, fumetti, giochi di ruolo, computer, ma soprattutto di Fantasy e Fantascienza.
Ha partecipato a molti concorsi letterari, spesso vincendoli o ottenendo buoni piazzamenti. Con “Il libro dei profeti” si è classificato al secondo posto al Trofeo RiLL, nel 2009.
Suoi racconti sono usciti su numerose riviste e antologie, di diversi editori.
Nel 2013 ha pubblicato il romanzo science-fantasy “L’ultimo Kharma” (Plesio Editore).
Ha lavorato inoltre come editor per le Edizioni XII e Mezzotints; attualmente è direttore editoriale della collana Sirio per Plesio Editore.