Il Lettore Universale

di Andrea Viscusi
Terzo classificato al XVI Trofeo RiLL
[racconto presente nell’antologia Riflessi di Mondi Incantati, ed. Giochi Uniti, 2010]


Leonardo contò, scostandole sul palmo della mano, le monete estratte dal portafoglio. Un euro e novantacinque. Non sapendo la durata la sosta, le infilò tutte nel parchimetro. Non si era aspettato di trovare un parcheggio privato, ma nemmeno delle macchinette così assetate di spiccioli: un euro e mezzo per un’ora erano un furto.
Certo, se il colloquio si fosse risolto come gli ultimi, ottantasette minuti di posteggio si sarebbero rivelati in buona parte sprecati.
Percorse a piedi il tragitto dal parcheggio al palazzo che era la sua destinazione. L’edificio aveva l’aspetto di una caserma: muri esterni di un biancastro intriso di smog, finestre quadrate decorate con motori per l’aria condizionata. Arrivato al citofono, Leonardo capì che era la sede di numerosi piccoli uffici: medici, avvocati, insegnanti privati. Trovò il nome che cercava sul terzo pulsante della quarta fila.
Suonò.
“Sì?”, gracchiò una voce.
“Ehm, sono Pardi. Per il colloquio.”
Non ci fu risposta, ma il portone si aprì con un trillo metallico.
Salì al quarto piano e passò oltre una targa in plastica dorata con scritto “Fondazione Lasswitz” in rilievi neri. Resistette alla tentazione di toccare le lettere sporgenti, notando dalle impronte che in molti avevano avuto lo stesso impulso.
Entrò e chiuse la porta senza fare rumore. Si trovò a guardare negli occhi un uomo sulla cinquantina, dai capelli troppo neri e i denti troppo bianchi. Sedeva di fronte all’ingresso, a una scrivania occupata da un monitor a tubo catodico, un fax e un ventilatore. Leonardo si rese conto che se poteva vedergli i denti era perché stava sorridendo.
“Salve” salutò. “Sono Pardi. Per…”
“Sì, per il colloquio. Lo hai già detto.” L’uomo gli tese la mano: “Io sono Giorgio. Accomodati.”
Leonardo si sedette sull’unica sedia e si guardò intorno. Dietro la piccola scrivania si trovava una parete che divideva completamente la stanza dal resto dell’appartamento. Se c’erano altri impiegati alla Fondazione Lasswitz, lavoravano oltre quel muro.
“Allora, Pardi. Dimmi: perché hai voluto candidarti per questo posto?”
Leonardo si prese un attimo prima di rispondere. Non poteva dire che i requisiti erano tanto bassi che chiunque avrebbe potuto provarci. Saper leggere e scrivere era già troppo: bastava la prima delle due. Una domanda trabocchetto? Gli erano capitati trucchi del genere, in altri colloqui.
Alla fine, la buttò sul personale: “Mi piace leggere. Leggo un libro alla settimana, e visto che cercavate dei lettori esperti e attenti ho pensato di poter fare al caso vostro.”
L’altro parve soddisfatto da quella risposta. “Utilizzi tecniche di lettura veloce?”
“No, nessuna” rispose Leonardo in tono di scusa.
“Bene. Non ti serviranno. Anzi, sono sconsigliate, nel nostro caso. Ti dispiace se facciamo un piccolo test?”
“Di che tipo?”
“Ti sottoporrò una pagina stampata. Dovrai leggerla al tuo normale ritmo, e dirmi quando hai finito. Per essere sicuro che non hai saltato niente ti farò delle domande. È molto importante che tu non salti nemmeno una sillaba. Sei pronto?”
Leonardo annuì. Prese il foglio A4 che Giorgio gli porgeva. La pagina era ricoperta di scritte in corpo dieci, senza alcun margine, punteggiatura o ritorni a capo. Cominciò a leggere. Contrariamente a quanto si era aspettato, non era un brano tratto da qualche famoso classico: sembrava piuttosto il diario di un bambino, una sequenza di frasi dal vago nesso reciproco. Scorse velocemente le parole fino ad arrivare alla fine. Poi sollevò lo sguardo: “Finito.”
“Ooo-chei” assentì Giorgio premendo un pulsante sul suo orologio. Doveva averlo cronometrato. Riprese il foglio e chiese: “Quanti gattini c’erano nella cesta?”
“Sei.”
“Qual è il suo gusto di gelato preferito?”
“Menta e cioccolato.”
“Come lo saluta il suo amico?”
“Mi pare… ci vediamo dopo.
“Va bene.” Giorgio tornò a sorridere. “Direi che ci siamo. Sei abbastanza veloce, e anche abbastanza attento. Credo che tu possa entrare a far parte del progetto. Ma potrò illustrarti i dettagli del tuo lavoro solo se prima accetti e sottoscrivi il contratto.”
Fece apparire da un cassetto un pacchetto di fogli spillati. “Leggi pure, tanto ti ci vorrà solo un paio di minuti, no?”
Leonardo sentì un brivido al solo toccare la carta. Non gli era mai capitato di vedere un contratto così presto. Non si illudeva, poteva sempre essere un’autorizzazione allo schiavismo scritta in buon burocratese, ma si era comunque emozionato. Riuscì a trovare presto i punti che lo interessavano: un fisso mensile per sei ore di lavoro al giorno; non erano richiesti straordinari; posizione contributiva in regola; scadenza a un anno. Non aveva le ferie pagate, ma era quanto di meglio gli fosse mai stato proposto. Dopo otto mesi senza lavoro, si era stancato dei periodi di prova e dei le faremo sapere. Non aveva ancora capito cosa avrebbe dovuto fare per la Fondazione, ma non voleva voltare le spalle alla fortuna, che per una volta era dalla sua parte. L’eccitazione rese la sua firma più illeggibile del solito.
“Allora, Leonardo, posso darti il benvenuto alla Fondazione Lasswitz” dichiarò Giorgio stringendogli di nuovo la mano con più energia, come se il loro saluto precedente non fosse stato autentico.
“Grazie.” Si sentiva stranito. “Quando comincio?”
“Probabilmente domani. La tua postazione non è ancora pronta, dobbiamo aspettare che il tecnico si degni di passare per mettere a posto due cavi. Potrei benissimo farlo io, ma non è mio compito e… insomma, hai capito. Ognuno al suo posto, no? Ma intanto possiamo parlare della mansione che svolgerai, vuoi?”
Quei modi spontanei gli ispiravano simpatia. “Sì, certo.”
Giorgio appoggiò i gomiti sulla scrivania e si sporse in avanti. Abbassò il tono della voce, come se si stesse confidando: “Quello che sto per dirti ti sembrerà incredibile, quindi sospendi per un attimo l’incredulità. E, per inciso, il lavoro che facciamo qui è anche segreto, almeno fino a un certo punto, quindi non sei esattamente libero di riferirne i dettagli. Allora, intanto… il nome della Fondazione ti dice nulla?”
Non pensò che quello fosse un altro test. Ormai aveva firmato. “No, non saprei.”
“Ok. Kurd Lasswitz era uno scienziato del diciannovesimo secolo. Filosofo, matematico, fisico… un pensatore come ne esistevano solo a quei tempi. Ha elaborato diverse teorie interessanti per la sua epoca, e ha avuto un sacco di intuizioni in merito a possibili tecnologie future. È stato lui il primo a parlare di una Biblioteca Universale. Ne hai mai sentito parlare?”
“Si riferisce a… Borges? La biblioteca di Babele?”
“Sì, il concetto di base è lo stesso. E dammi del tu. Comunque, Borges ha sviluppato l’idea di Lasswitz. Per la verità, già nell’antichità classica avevano descritto qualcosa del genere, ma non si hanno documenti certi prima di Die Universalbibliotek di Lasswitz. Tutto parte dalla limitatezza del linguaggio scritto: l’alfabeto è costituito da un numero ridotto di simboli, i quali possono essere messi in sequenza per formare parole, frasi, libri. Si può quindi ipotizzare che l’insieme di tutti i testi che potrebbero mai essere scritti si possa ottenere semplicemente combinando in tutti i modi possibili le lettere dell’alfabeto e qualche segno di punteggiatura. Si tratterebbe di un numero inconcepibile di volumi, ma un numero comunque finito. Fin qui ci siamo?”
Leonardo aveva letto il racconto di Borges quando aveva dodici anni, ma non gli pareva il caso di interrompere. Annuì, curioso di scoprire dove il discorso andasse a parare.
“Sia il racconto di Lasswitz che quello di Borges si concludono affermando l’impossibilità dell’impresa. Lasswitz calcola che una biblioteca del genere sarebbe più estesa dell’universo intero; Borges inventa una struttura metafisica, labirintica, che già contiene tutti i libri possibili, ma ne sconfessa l’utilità, a causa della dispersione dei testi interessanti. Ora, entrambi gli autori, per quanto geniali, commettevano un errore di fondo nella loro speculazione. Riesci a capire quale?”
“No, non credo di arrivarci.”
“Eppure potresti. Loro non avevano modo di immaginarlo, non li si può biasimare. L’errore di entrambi era considerare la biblioteca come qualcosa di concreto, di materiale. Ma io e te sappiamo che oggi non c’è bisogno di stampare un volume in tipografia per poterlo leggere. Ci basta questo.” Sull’ultima parola, Giorgio batté la mano tre volte sul monitor di fronte a lui, come dando una pacca a un vecchio amico.
“Vuole… vuoi dire, il computer?”
“Esatto, Leo. Questa bestia infernale che assorbe tre quarti delle nostre giornate.” Fece una pausa, mantenendo un sorriso convinto. Poi riprese: “Pensaci.”
Ci pensò. Ma prima che potesse esporre le sue conclusioni, l’altro tornò a parlare: “Con un computer si possono generare tutte le combinazioni possibili senza sforzi. E soprattutto, per conservarle non serve uno scaffale lungo di qui a Vega, ma basta qualche terabyte di hard disk. È questo che facciamo alla Fondazione Lasswitz. Diamo vita alla Biblioteca Universale. E le diamo uno scopo: è a questo che servite tu e i tuoi colleghi.”
“Per questo io devo leggere” concluse Leonardo.
“Esatto, bravo! Il computer può permutare tutti i caratteri esistenti, ma non può interpretarli. Per leggere e comprendere serve necessariamente una persona. O meglio, molte persone.”
Leonardo era elettrizzato. L’idea di aver trovato un lavoro era di per sé esaltante, ma scoprire che avrebbe inseguito un obiettivo così nobile, per quanto inarrivabile, lo faceva sentire importante. “Ho capito. Posso farlo.”
“Certo che puoi! Ma non oggi, Leo. Ti richiamerò io quando potrai cominciare, ok? Per ora, torna pure a casa, rilassati… magari leggi qualcosa!”
Con quella battuta, Giorgio si alzò dalla sua poltrona. Lui fece altrettanto. “Beh, allora a presto.”
Il suo nuovo capo lo salutò con una strizzata d’occhio.


Passarono tre giorni prima che fosse chiamato al lavoro. E tre settimane prima che cominciasse a pensare che tutta quella faccenda fosse meno entusiasmante di quanto aveva creduto.
Non che lo avessero preso in giro. Il suo compito era esattamente quello che gli era stato illustrato: leggere i testi digitali che venivano inoltrati sul suo computer, collegato con l’elaboratore centrale che generava le infinite combinazioni possibili di caratteri. A differenza di quanto si diceva nei racconti che avevano ispirato la Fondazione, lì non venivano messi insieme dei libri, ma singole pagine composte da cinquemila battute ciascuna. Per comporre i testi venivano usate le ventisei lettere dell’alfabeto, i dieci numeri e lo spazio. Il totale delle combinazioni così ottenibili era quindi minore di quello calcolato in origine da Lasswitz, ma si trattava comunque di un numero a 7842 cifre. C’era anche da considerare che le pagine passate alla squadra di lettori erano in realtà meno di tutte quelle possibili: il computer era infatti in grado non solo di elaborarle, ma anche di effettuare un’analisi preliminare del contenuto. Venivano così escluse tutte le pagine dal contenuto sicuramente non informativo (sequenze di caratteri uguali e le successive microvariazioni di queste) fino al raggiungimento di composizioni di lettere più eterogenee, potenzialmente significative. Nonostante questo, rimaneva comunque qualche teratriliardo di pagine da leggere.
Quando Leonardo accendeva il computer, nella stanza in cui si ritrovava insieme ad altri otto lettori, il software gli presentava a schermo una pagina completamente ricoperta di caratteri, simile a quella con cui aveva svolto il suo primo test durante il colloquio. Le pagine venivano create di continuo, e poi inoltrate casualmente ai vari operatori, che potevano trovarsi davanti l’ultima ad essere stata elaborata come una di sei anni prima.
Il compito di Leonardo e dei suoi colleghi era di leggere quanto gli passava davanti ed evidenziare eventuali passaggi “interessanti”, per poi salvare il risultato dell’analisi.
“Con interessante” gli aveva spiegato Giorgio “intendiamo qualcosa che abbia rilevanza. Ora, capisci da solo che nella maggior parte dei casi leggerai sequenze casuali di lettere. Ogni tanto potresti trovare qualche parola sensata. Forse addirittura delle frasi. Ma questo non basta: devono essere frasi che abbiano un contenuto, capisci? Luca ha comprato il latte non ne ha; Gesù Cristo era nero sì.”
“Ma come valuto se qualcosa è interessante o meno?”
“A tua discrezione, naturalmente. Ma immagino che tu abbia abbastanza buon senso per capirlo.”
Le pagine prive di contenuto venivano rimosse dal sistema, in modo da non intasare inutilmente gli archivi. In questo modo, da quel totale inimmaginabile di risultati esistenti, ne venivano sottratti diverse centinaia ogni giorno.
Tuttavia, sapere quanto anche la distruzione dei testi insensati fosse utile non riusciva a soddisfarlo. A tre settimane dall’inizio del suo ciclo di lettura, non solo non aveva trovato niente di interessante, ma nemmeno una singola frase compiuta. Giorgio gli aveva consigliato di non essere troppo schizzinoso sull’ortografia: se si trovava davanti un buon brano, pur con qualche refuso, doveva contrassegnarlo. Ma anche a queste condizioni non aveva mai incontrato più di quattro parole sensate di fila. Il suo migliore risultato era stato l’enigmatico “pesiancora nondur ano”. Aveva trovato brandelli di frasi in inglese ma, a quanto gli avevano spiegato, delle altre lingue si occupavano le sezioni estere della Fondazione.
Perché la Fondazione Lasswitz era presente in tutto il mondo. Silenziosa, discreta, ma costante nella sua minuziosa analisi di tutto ciò che poteva essere scritto.
Con la frustrazione che cresceva giorno dopo giorno, pagina dopo pagina, Leonardo cominciò a interrogarsi su quale fosse il fine ultimo di quell’interminabile ricerca. E soprattutto, chi fosse a finanziarla.
Non era ragionevole pensare che un progetto così esteso e meticoloso fosse tenuto in piedi da qualche sovvenzione alla ricerca. C’erano centinaia di applicazioni più interessanti per dei calcolatori come quelli, che venivano sfruttati solo per combinare trentasette caratteri.
Il suo primo impulso fu quello di rivolgersi a Giorgio in cerca di spiegazioni. Il direttore dell’ufficio si era sempre mostrato disponibile, e Leonardo si sorprese davanti alla sua risposta stizzita.
“Lascia stare, Leo. Non ti riguarda.”
“Ma… dev’esserci una ragione per quello che facciamo. Non può essere soltanto un esercizio di calcolo combinatorio. Ci deve essere qualcuno interessato ai nostri risultati. Qualcuno che paga il mio stipendio.”
“Certo che c’è qualcuno che paga. Ma come ti ho detto quando ci siamo conosciuti, il nostro lavoro è soggetto a un certo margine di sicurezza. Qui inizia quel margine, Leo.”
Dal tono delle parole, Leonardo capì che l’altro non avrebbe proseguito la conversazione. Tornò al suo posto.


Due giorni dopo, Leonardo provò un brivido quando si accorse di aver individuato il suo primo brano sensato. A circa un terzo dall’inizio della pagina che aveva davanti, si imbatté in una sezione che riportava:
eree4 laorbi tro pudecidde re   w1se asena r e4 penalitancas1o d0if a l7yo rile vatoaaaaapatltac onc  lusa ae2
Che, con l’abilità acquisita nel corso del primo mese di lavoro, Leonardo riuscì a interpretare come:
L’arbitro può decidere se assegnare penalità in caso di fallo rilevato a partita conclusa
Non era sicuro se quel pezzo fosse o no interessante. Evidenziò comunque la riga (l’unica comprensibile in tutta la pagina), e salvò il suo lavoro. A fine giornata, fu Giorgio stesso a fargli i complimenti per la sua scoperta.
Imbarazzato, lui cercò di minimizzare: “Beh, non credo che fosse niente di così notevole.”
“Ma scherzi?”, replicò l’altro con enfasi. “Tu non hai idea di quanto importante può essere la tua scoperta! Segui il calcio? No? Allora non sai che c’è gente che si batte da decenni per avere la moviola in campo? E come la mettiamo con la finale dei Mondiali del 2006, quando l’arbitro ha visto il fallo di Zidane solo su segnalazione…”
Andò avanti per due minuti buoni, ma Leonardo perse presto il filo del discorso. Non solo perché l’argomento non gli era familiare. Piuttosto, aveva percepito qualcosa nelle sue parole. Un’intuizione, un’idea forse irragionevole, ma convincente.
I giorni successivi non furono diversi dagli altri. Continuò a scorrere centinaia di migliaia di battute senza riconoscere più di qualche parola intelligibile.
A dimostrarsi più fortunato fu uno dei suoi colleghi. A pochi minuti dalla fine del turno, balzò in piedi dalla sedia esultando: “Trovato! Ho qualcosa! Dice: la… pre… senza di… ehm… ar-mi dis-truttive… costituiva ragione… sufficiente… per giusti-ficare un attacco. Bello, eh?”
Com’era consuetudine, gli altri applaudirono. Pochi minuti dopo stavano prendendo un aperitivo tutti insieme, al bar dietro l’ufficio. Leonardo parlò e sorrise poco.


Aveva capito.
In qualche modo, era riuscito a cogliere il “gioco” celato dietro la Fondazione. Era una scommessa pericolosa, un investimento in gran parte inutile… ma anche potenzialmente rivoluzionario.
Non poteva ottenerne la conferma, ma era l’unica spiegazione possibile.
Chi poteva permettersi di impiegare tante risorse in un progetto dall’esito così incerto? Come si poteva giustificare l’utilizzo di tutto quel personale e lo spreco di tanto tempo? Era impossibile che una qualsiasi istituzione privata o scientifica potesse investire in un progetto del genere. Il capitale o i fondi sarebbero presto stati sottratti. C’era una sola alternativa: i governi.
Per gli organi di uno Stato non sarebbe stato difficile mimetizzare un istituto del genere tra le migliaia di capillari burocratici, far figurare i lettori come dipendenti pubblici e mantenere così uffici dalla produttività pressoché nulla. Il tutto sarebbe stato anche più facile, se coordinato a livello sovranazionale, proprio come sembrava che fosse per la Fondazione Lasswitz.
Ma a quale scopo?
Leonardo non si illudeva che la sete di conoscenza potesse muovere gli interessi del Nuovo Ordine Mondiale. C’era qualcosa di più subdolo, un fine remoto per cui valesse la pena di aspettare anni interi di insuccessi.
Perché, da qualche parte, là in quell’immensa Biblioteca Universale che si andava formando e veniva passata all’esame di tutte le lingue possibili, c’era il progetto del motore iperspaziale. Così come il funzionamento della fusione fredda. E il segreto della pietra filosofale. I dettagli dell’assassinio di Kennedy. Tutta la verità sugli esperimenti genetici nazisti. La posizione di Atlantide, ma soprattutto quella degli ultimi giacimenti di petrolio.
Quello che loro stavano cercando era qualsiasi cosa. Ogni idea interessante, ogni pensiero articolabile che ancora non era sorto spontaneamente nella testa di un essere umano. Era solo questione di tempo. Un giorno, grazie anche al suo lavoro, avrebbero ottenuto tutto quello che c’era da sapere.


Leonardo riprese a lavorare, cercando di convincersi che non c’era niente di male in quel progetto.
Lui stesso avrebbe potuto scoprire il processo per attivare la fotosintesi nelle cellule umane, risolvendo così il problema della fame nel mondo.
Eppure c’era qualcosa di sbagliato. Qualcosa di distorto.
Senza smettere di scorrere gli occhi sulla pagina che aveva davanti, tornò con la memoria alla scoperta del suo collega.
La presenza di armi distruttive costituiva ragione sufficiente per giustificare un attacco.
Perché quella frase riusciva a farlo sentire in colpa? Era possibile che quell’idea fosse nata in modo simile?
E lui, adesso, ne era in parte responsabile?
Quante “idee” di quel tipo erano sorte dall’analisi degli accostamenti casuali elaborati alla Fondazione? Da quanto durava la “lettura” della Biblioteca Universale?
Ripensò a tutte le scoperte incredibili che si erano succedute negli ultimi vent’anni. Agli straordinari progressi nella tecnologia, alle grandi opere realizzate. E, allo stesso tempo, rievocò tutte le atrocità di cui aveva sentito parlare, e cercò di immaginare tutte quelle che non conosceva affatto.
Quanto di ciò che l’Umanità aveva prodotto nella storia più recente era genuino, e quanto invece proveniva dall’accostamento casuale delle lettere dell’alfabeto? E, in fondo, era corretta una distinzione del genere?
Era confuso: i suoi scrupoli si abbattevano sulla grande opportunità offerta da quell’opera colossale, cercando di eroderla. Esisteva una cosa giusta da fare, nella sua situazione?
Lui era un lettore.
Solo un lettore.
La rivelazione lo colse di sorpresa, ed ebbe uno scossone che fece credere ai suoi colleghi che avesse trovato qualcosa nel foglio che aveva di fronte.
Aveva davvero trovato qualcosa, ma nella sua testa.


La riga 26 della sedicesima pagina letta quel giorno recitava:
fstazgion e o 1rbitae epistota sp a z  iaalepicc8la mas s0a axeteratagrvi7a resltad evastante
Era una buona idea. In effetti, lanciando anche solo un mattone da una stazione spaziale si sarebbero potuti provocare enormi danni, in particolare all’interno di una città. Possibile che nessuno avesse mai pensato a un’arma di quel tipo?
Beh, la Biblioteca Universale ci aveva pensato.
E Leonardo, Lettore Universale, lo aveva scoperto.
Alla Fondazione Lasswitz, ormai era chiaro, veniva plasmato giorno per giorno il futuro dell’Uomo. E lui ne era parte. Lui poteva plasmare quel futuro.
Leonardo contrassegnò come inutile la pagina e passò alla successiva.
Nessuno oltre a lui sarebbe stato sfiorato dall’idea della “pistola spaziale”. Almeno, non quel giorno.
Sorrise.
Non solo perché era contento di aver trovato la sua strada, ma anche perché finalmente aveva trovato la conferma di qualcosa che, dentro di sé, aveva sempre sospettato.
Adesso, lo sapeva, leggere poteva davvero cambiare il mondo.


Andrea Viscusi è nato nel 1986 in Toscana, dove risiede tuttora.
Laureato in Statistica, è un vorace lettore e un appassionato di fantascienza.
Scrive dal 2008, e coi suoi racconti si è classificato nelle prime posizioni in molti concorsi letterari.
È giunto terzo al XVI Trofeo RiLL (con “Il lettore universale”), ed è stato finalista in svariate altre edizioni. Inoltre, è stato tra i vincitori di SFIDA, altro concorso bandito da RiLL, nel 2010 (con “Pr-Medjed”), nel 2013 (con “La conquista”) e nel 2015 (con “Karma”), tutti usciti nelle rispettive antologie "Mondi Incantati".
Suoi racconti sono stati pubblicati in antologie di vari editori; inoltre, il suo racconto “La Recrue” è apparso sulla rivista francese Galaxies.
La sua prima antologia è “Spore” (ed. I Sognatori, 2013); nel 2015 è uscito il suo romanzo di fantascienza “Dimenticami Trovami Sognami” (ed. Zona 42).
Cura il sito di indovinelli Cinenigmi; sul suo blog Unknown to Millions scrive di libri, musica, film e fantascienza.
Nei forum, social network e blogsfera è noto come Piscu.

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