Ho sempre disegnato, dacché ne ho memoria, per creare mondi fantastici...

Intervista con Edvige Faini, concept artist per cinema e videogiochi
di Alberto Panicucci
[pubblicato su RiLL.it nell'ottobre 2016]

Il 24 e 25 settembre si è svolta nel castello sforzesco di Dozza (Bologna) Fantastika, manifestazione dedicata al fantasy e all'illustrazione fantastica organizzata fra gli altri dall'Associazione Italiana Studi Tolkieniani.
Non a caso, quindi, a Dozza è stato presentato il calendario Lords for the Ring 2017: dodici immagini ispirate ad altrettanti episodi delle opere tolkieniane, realizzate per l'occasione da sette fra i più importanti illustratori italiani del settore.

Per me è stato un piacere conoscere (o approfondire la conoscenza) con nomi quali Paolo Barbieri, Ivan Cavini, Alberto Dal Lago, Dany Orizio, e ritrovare un buon amico come Angelo Montanini (che del progetto era il direttore artistico), tutti presenti al castello e a ciascuno dei quali era dedicata una piccola mostra espositiva.

Tutti questi illustratori hanno senza dubbio una storia (professionale e non) degna di essere raccontata; fra tutti, però, ho intervistato Edvige Faini, unica donna nel gruppo dei Lords for the Ring.

Per chi non lo sapesse, Edvige Faini è un'affermata concept artist in ambito cinematografico e video-ludico.
Laureata all'Istituto Europeo del Design di Milano, si è poi specializzata (fra gli altri) all'Accademia di Brera e alla Gnomon School of Visual Effect di Los Angeles.
Come concept artist ha collaborato a Hollywood con la Aaron Sims Company, e quindi a film quali “Maleficent”, “Jupiter - Il destino dell'universo”, “Apes Revolution - Il pianeta delle scimmie”, “Edge of Tomorrow - Senza domani” e “Sin City” (tanto per citarne qualcuno). Ha inoltre partecipato alla produzione del videogioco Assassin Creed Unity (per la Ubisoft) e allo sviluppo di Final Fantasy XV (per la Square Enix Japan).
Insomma, un'artista con un curriculum assolutamente significativo e di spessore internazionale...

Per chi volesse approfondire la conoscenza delle opere e delle attività  di Edvige, ovviamente rimando al suo sito web (da cui sono tratte tutte le immagini che corredano questa mia intervista); segnalo inoltre le sue pagine Instagram e Facebook.
Ma veniamo all'intervista...


Edvige, tu lavori come “Concept Artist”. Più precisamente, in cosa consiste il tuo lavoro?

Il lavoro del Concept Artist consiste nel tradurre e trasmettere in forma di rappresentazione visiva un concetto, un’idea o la visione di un regista o di un game-designer prima della realizzazione di un film, di un videogioco o di uno spot pubblicitario.
Il mio compito, nello specifico, è creare digitalmente immagini che, oltre ad avere un valore artistico/ estetico, siano funzionali alla realizzazione del prodotto per cui vengono impiegate.
I concept creati devono quindi necessariamente avere la capacità di suggerire il design di scenari, personaggi, veicoli e creature, ma soprattutto fungere da chiave per focalizzare e coordinare, attorno ad una singola visione artistica, tutti gli sforzi e le maestranze coinvolte ed impiegate nella produzione.
È importante specificare che il mio lavoro si inserisce all’interno della fase di pre-produzione, la fase più immaginativa ed esplorativa dell’intero processo produttivo di un film o di un prodotto video-ludico, quindi generalmente la nostra creatività è libera di spaziare a 360°.

Il tuo lavoro (creativo e individuale) è inserito all'interno di un processo di produzione che coinvolge un ampio gruppo di persone. Puoi parlarci della coesistenza di questi due elementi, individuale e collettivo?

Prendere parte alla pre-produzione di un film o di un videogame significa sempre più essere coinvolti in team di centinaia di professionisti, spesso reclutati in giro per il mondo e impiegati ciascuno con il proprio ruolo e i propri skills.
In questa complessa macchina produttiva le figure professionali come la mia sono generalmente coordinate dai Production Designers, i quali solitamente definiscono e gestiscono tutti gli aspetti visuali del film lavorando a diretto contatto con regista e produttore e dirigendo i team responsabili della Concept Art e di tutto il lavoro visuale di definizione di set, costumi, design di veicoli, creature ed effetti speciali.

Ho avuto sia la possibilità di lavorare fisicamente a contatto con i team di sviluppo all’interno delle compagnie di produzione sia di lavorare da remoto come free-lance, condizione che prediligo e che ho scelto definitivamente come la più congeniale alle mie esigenze creative/ professionali/ personali. Personalmente, e forse molto romanticamente, ho sempre visto l’artista come il solitario per eccellenza e in questa visione mi ci rispecchio molto.
È comune per molti artisti scegliere di operare in condizioni di intimità, quiete e solitudine, come se esistesse un bisogno di mantenersi integri e avulsi dalle cose del mondo per potersi cosi dedicare anima e corpo al proprio lavoro, al proprio sentire.

Opero ormai da un paio di anni nello studio che ho creato accanto alla mia abitazione, in mezzo ai miei libri, ai quadri che amo e agli oggetti che colleziono. Il mio studio è un rifugio e un luogo di ispirazione dal quale però resto connessa al resto del mondo.
Quindi possiamo a ragione dire che il mio è un lavoro principalmente individuale, ma che deve potersi interfacciare e confrontare con il lavoro svolto o che sarà successivamente svolto, dalle altre figure coinvolte nella produzione.



Nella tua attività hai lavorato per film americani e videogiochi giapponesi. Puoi parlarci di queste esperienze e di cosa ti hanno “lasciato”?

Come spiegavo poc’anzi, la fase in cui si inserisce il lavoro del Concept Artist è quella di pre-produzione, la fase più embrionale dell’intero processo produttivo, una fase di programmazione in cui, in alcuni casi, la sceneggiatura è stata solo abbozzata. E, come sempre più spesso accade, il Concept Artist viene reclutato per lavorare in remoto, quindi senza nemmeno essere fisicamente parte dei team, se non virtualmente. Quindi in un certo senso si è quasi totalmente all’oscuro di quelli che sono i retroscena o backstage produttivi, pur essendone comunque parte, attraverso il proprio contributo creativo.

Tuttavia, ad Hollywood, dove ho scelto di andare a specializzarmi, ho avuto modo di vivere a contatto con l’approccio e la mentalità americana, sia in ambito scolastico che in ambito professionale, e devo dire che in entrambi gli ambienti ho sempre avuto la fortuna di trovare grandissima passione, grandissima preparazione tecnica e grandissima professionalità. Proprio queste qualità mi hanno molto motivato, mi hanno spinto a credere in quello che facevo e hanno stimolato tantissimo la mia creatività, produttività e soprattutto la voglia di essere parte della magica industria del cinema.

Esperienza altrettanto formativa è stata quella vissuta con i giapponesi e nello specifico quella a contatto con i team creativi di Square Enix per la pre-produzione dell’attesissimo Final Fantasy XV e di Kingsglaive, film interamente prodotto in computer grafica che introduce gli eventi di Final Fantasy XV.
Prendere parte allo sviluppo di questi due progetti è stato per me come aprire una finestra sulla cultura giapponese, sul loro modo di approcciarsi al lavoro e alle problematiche di tipo progettuale e creativo, scoprendo cosi qualcosa in più della loro visone del mondo. Del resto, gli stessi videogames, ormai lontani dall’essere considerati semplici giochi, sono diventati medium di espressione artistica e culturale.
In quest’ ottica i videogiochi giapponesi, e in particolare Final Fantasy, mi hanno spesso attratto più degli altri proprio per la loro peculiare sensibilità espressiva: sia sul piano del game-design sia su quello narrativo (contraddistinto spesso da intrecci complessi e da tematiche delicate e insolite per il medium videoludico, come la morte e la spiritualità), ma soprattutto - dal punto di vista di un concept artist - da un'estetica estremamente fantasiosa!
Mi riferisco alla grafica allineata allo stile nipponico di disegno degli anime (spesso con spade e armature fuori dalle dimensioni normali e costumi molto scenografici), alla ricerca di una combinazione armonica tra elementi storici e futuristici nello stile architettonico delle ambientazioni e degli scenari, così come alla combinazione dell’elemento organico con quello tecnologico nel design di props e veicoli. È una ricerca artistica meticolosa e sempre attenta al dettaglio, guidata da una profonda sensibilità.



Tu hai una bellissima storia personale, legata al modo in cui sei riuscita a realizzarti professionalmente. Puoi raccontarla ai lettori di RiLL.it?

Sono nata nel 1977, l’anno in cui Star Wars portò a livelli mai visti prima la possibilità di evasione ed immersione nel fantastico.
Ho passato la maggior parte della mia vita a fare il possibile per evadere dalla realtà, spinta proprio dal bisogno di creare mondi fantastici alternativi nei quali immergermi per vivere le mie avventure. Ho sempre disegnato, dacché ne ho memoria, proprio perché il disegno mi dava la libertà di inventare mondi che girassero secondo le mie regole. Ho giocato al mio primo videogame a cinque anni e sono stata testimone di tutto l’upgrade delle consolle e della grafica computerizzata e ho visto il linguaggio simbolico della fantasia (fatto di zombie, anelli magici, viaggi nel tempo, robot e androidi) passare dall’essere consumato nelle stanzette di nerd e geek a diventare “menù quotidiano” di una cultura più mainstream.
Da amante di cinema e videogame credo di aver sempre masticato computer grafica, come del resto è capitato a tutti i ragazzi nati a cavallo tra l’era analogica e quella digitale ('70-'80), e credo di essere praticamente cresciuta insieme alla computer grafica.

Mi sono formata artisticamente in senso accademico e tradizionale, incoraggiata fortunatamente anche da una famiglia che non ha mai ostacolato la mia naturale inclinazione. Ho studiato Anatomia, Disegno dal Vero, Teoria del Colore, Prospettiva etc., dopodiché ho scelto di specializzarmi in Illustrazione e dopo gli studi, non senza difficoltà, mi sono trovata a collaborare con case editrici e riviste, fino ad approdare al lavoro di Art Director nel settore pubblicitario.
Ma il vero incontro, cioè quello che ha cambiato davvero le cose, avvenne solo sei anni fa, e fu il momento in cui capii che tutti i mondi sognati, immaginati e visti al cinema e nei videogame erano stati progettati e disegnati da figure chiamate Concept Artist.

Benché sognassi da sempre di disegnare i film a cui tanto ero affezionata, l’esistenza di questo ambito professionale mi era totalmente sconosciuta. Ad aprirmi le porte di questo mondo fu l’incontro con i lavori di Sead Mead, Ralph McQuarrie, Chris Foss, Craig Mullins, tutti nomi leggendari in questo ambiente, parliamo di pionieri della Concept Art e in alcuni casi anche della Digital Art.
Realizzai che quello del Concept Artist era davvero il lavoro che avevo sempre sognato di fare, il luogo in cui poter convogliare tutte le mie passioni e i miei interessi, il modo attraverso cui poter materializzare tutto ciò che di più astratto vive da sempre nella mia fantasia.

Al tempo, come dicevo, lavoravo come Art Director (frustrato) in un'agenzia pubblicitaria di Milano e nel giro di pochi mesi mi licenzio, faccio i bagagli, prendo i miei risparmi, saluto famiglia ed amici e parto alla volta di Los Angeles con l’obiettivo (al tempo era solo un sogno) di diventare una Concept Artist. Purtroppo le mie finanze al tempo mi permisero di optare per un paio di “professional corses” della durata di soli tre mesi, presso la rinomata Gnomon School of Visual Effects di Los Angeles. Credo siano stati i tre mesi più intensi e produttivi della mia vita!
Magicamente (uso questo termine perché ho avuto più volte la sensazione che il mio percorso fosse in qualche modo stregato, del resto chi fa questo genere di lavoro tende a credere che la magia esista…), proprio nel momento in cui stavo per tornare in Italia (volo di rientro già prenotato!) vengo contattata per un colloquio presso uno studio di Production Design di Hollywood, che aveva notato alcuni miei lavori sul sito della Gnomon. Mi offrirono di iniziare un'internship, uno stage di formazione professionale.
Da quel momento la mia vita non è più stata la stessa.

Quando ora ripenso a quel che è stato mi emoziono.
Ero arrivata con l’idea di starci solo per tre mesi, ma l’anno passato a Los Angeles è stato uno dei periodi più significativi della mia vita, per le esperienze che ho avuto modo di fare, le persone che ho incontrato e le cose che ho imparato.



Da persona che ha studiato in Italia e poi anche negli USA, che differenze noti nel modo di formare gli illustratori nei due paesi?

Nell’ambiente scolastico americano ho avuto un corpo insegnanti preparatissimo, costituito da talenti che, operando già ad alto livello (nonostante la giovane età) nell’industria di cinema e videogame, sono stati in grado di trasferire ai loro alunni conoscenze didattiche e pratiche per formare non solo tecnicamente ma anche eticamente i professionisti di domani.
Strutture e tecnologie sono ovviamente quelle di ultimissima generazione, esattamente quello che ti aspetti di trovare nelle scuole che chiedono rette impegnative, economicamente parlando. È un ambiente serio e stimolante, si lavora molto perché molto viene richiesto agli alunni ed esiste un reale impegno da parte della scuola nel creare contatti tra la domanda dell’industria e il talento che ciascun alunno sviluppa.

Devo alle scuole frequentate nel mio paese una solita base culturale e artistica in senso tradizionale, senza la quale penso non avrei mai potuto affrontare il percorso che ho poi intrapreso.

Riscontro che, oggi più di ieri, giovani talentuosi, intraprendenti e appassionati (molti di loro sono amici e colleghi) impegnano enormi energie per istituire accademie e corsi che formino i giovani artisti italiani e li orientino verso quelli che sono i nuovi scenari professionali e le nuove possibilità che offre il mercato anche fuori dal nostro paese.
È un segno positivo, poiché il processo creativo è fortemente influenzato dall’atmosfera culturale in cui si sviluppa. Questa è la chiave per la produzione di creatività. Infatti più l’ambiente culturale ed educativo è libero, interdisciplinare e stimolante, maggiore sarà la produzione di creatività e talenti.

A Fantastyka hai presentato il calendario tolkieniano Lords for the Ring. È la prima volta che realizzi un'illustrazione per un calendario? E poi... ti ho visto lì, al castello, a fare autografi, disegni, parlare col pubblico.... che effetto ti ha fatto? Il tuo “normale” lavoro è abbastanza lontano dal pubblico...

Sì, è stata la mia prima volta alle prese con un calendario, ma soprattutto la mia prima volta alle prese con Tolkien e l’illustrazione di genere Fantasy! Quindi puoi immaginare l’emozione, ma anche la tensione...
Sono da sempre una fan dell'opera Tolkieniana e nel suo universo sono rimasta immersa per parecchio tempo, prima da lettrice e poi più recentemente da spettatrice delle due trilogie Jacksoniane.
Non poteva che nascerne un’esperienza forte ed un legame intenso con l'illustrazione creata per questo calendario.
È un'esperienza che mi sta portando ora, anche per motivi promozionali, ad uscire dalla tranquillità del mio studio/ guscio per incontrare gli appassionati, fan di Tolkien e della letteratura fantasy in generale. Sono una persona dalla natura introversa e riservata, quindi queste situazioni hanno su di me un impatto fortissimo, sia a livello emotivo che psicologico.
Cerco di viverle come un’opportunità meravigliosa di incontro e confronto con gli altri artisti e con il pubblico appassionato, oltre che per fare una “scorpacciata” di energie che accrescano la mia voglia di creare. Per vincere timidezza e imbarazzi non c'è cura migliore del mettersi in gioco, esporsi, lanciarsi, anche su un palco, a parlare di sé e del proprio lavoro davanti a decine e decine di occhi curiosi e indagatori.



Un'ultima domanda, Edvige. Nel tuo lavoro di concept artist, hai già fatto un sacco di cose, e fra loro diverse. Ma, se potessi, cosa ti piacerebbe fare? Il famoso sogno nel cassetto...

Sogno di trovare tempo.
Tempo per poter lavorare a progetti tutti miei, creare i concept per un paio di storie che tengo nel cassetto da qualche anno e che magari, chi lo sa, potrebbero diventare un progetto da presentare a qualche casa cinematografica… Lasciami sognare in grande!!


Niente di meglio e di più giusto che sognare in grande, per un'artista come Edvige Faini.
Che ringrazio per la disponibilità avuta a Fantastyka e per quella nel rispondere ora alle mie domande.
E ringrazio anche Emiliano Marchetti, che mi ha dato l'idea di quest'intervista.


P.S.: Repetita iuvant: per chi volesse approfondire la conoscenza delle opere e delle attività  di Edvige Faini, rimando al suo sito web (da cui sono tratte tutte le immagini che corredano questa mia intervista); segnalo inoltre le sue pagine Instagram e Facebook.

Per maggiori informazioni sul calendario Lords for the Ring 2017:
www.jrrtolkien.it

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