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di Patrizia Lamberti
Quarto classificato al I Trofeo RiLL
"Chiedo soddisfazione!", urlò il nobile concitato. Era un uomo sui cinquanta, con il fisico appesantito dalla vita troppo agiata; evidentemente mai nessuno aveva provato a fare delle avances alla sua giovane e bellissima consorte, e la sfrontatezza del giovane signore che aveva davanti lo aveva sorpreso. Il Conte, infatti, se era conosciuto per la sua mole appesantita, era ancor più noto per la sua abilità con la spada e con la pistola, armi con le quali era un vero e proprio maestro; più di un nobilotto sfrontato aveva corteggiato la sua consorte, quando erano arrivati a corte, ma il conte aveva ben presto scoraggiato ogni audacia, guadagnandosi una ben meritata fama.
Ed ora cosa succedeva? Un nobile di dubbi natali si presentava a corte e, davanti a tutti, dame pettegole comprese, iniziava a corteggiare apertamente la Contessa, prima con occhiate fugaci e sottili giochi di sguardi, poi più apertamente, con allusioni piccanti. Ma cosa credeva? Che un nobile del suo lignaggio sarebbe rimasto a guardare ed a farsi disonorare così?
"Ma marito mio!" esclamò la Contessa portandosi una mano alla gola e fingendo di essere impressionata.
"Taci!" le intimò il Conte, furente. Intanto il giovane nobile si godeva la scena come se fosse stato un semplice spettatore, quasi ignaro di essere la prossima vittima sacrificale che, per di più, si era andata a cercare la strada dell'altare.
Era un Conte anch'egli, ma probabilmente di una casata meno nota a corte, anche se le sue vesti riccamente decorate sembravano affermare il contrario; non portava la parrucca incipriata come la maggior parte dei nobili di corte ma i suoi capelli biondi e leggermente mossi erano già una dichiarazione di nobiltà, tanto erano dorati ed ordinatamente raccolti dietro la testa in una coda. Le dame di corte non risparmiavano sospiri quando lui incrociava i loro sguardi. Era molto bello, aveva un notevole fascino e sembrava pienamente consapevole di ciò.
"Davvero, signore, non comprendo la vostra irritazione", disse calmo il giovane, osservandosi il pizzo della camicia che fuoriusciva dalle maniche del suo abito di seta. Quelle parole resero ancora più furente il Conte, la sua rabbia contrastava con la calma dell'altro come il giorno con la notte.
"Voi prestate troppo interesse alla mia consorte, signore!", protestò con disprezzo, sempre mantenendo lo sguardo fisso sul giovane. Questi lo degnò di un'occhiata annoiata, poi guardò la giovane donna e sorrise: "Dovrebbe essere un onore per voi, perché significa che avete sposato una donna notevole e siete invidiato per questo, ma a quanto pare siete troppo ottuso per rendervene conto".
"Ottuso!?" urlò il Conte; la Contessa nascose una risatina dietro il ventaglio aperto. Il giovane Conte sorrise, che noia questi nobili, pensò.
"Voglio soddisfazione, ora, subito! -urlò il Conte, paonazzo in volto- cercatevi dei padrini e raccomandate l'anima a Dio, perché non lascerete vivo questa corte! A voi la scelta dell'arma".
Il giovane scosse la testa e sorrise, poi si voltò verso il gruppo di nobili e chiese se qualcuno volesse fargli da padrino. Trovò due giovani, anch'essi nobili, ed il gruppo si trasferì nel parco della grande villa.
Il giovane nobile scelse la spada, così il duello ebbe inizio. Il vecchio Conte era stato un maestro di scherma e conosceva molti trucchi, ma il giovane non sembrava essere da meno.
"Siete abile, monsieur -disse il Conte ansimando- ma non lo sarete mai più di me".
"Forse" convenne il giovane Conte, mentre un colpo dell'altro andava quasi a segno, colpendogli il braccio sinistro e producendo un lungo squarcio nella manica; la superficie di un bracciale emise un leggero bagliore, quando i raggi del sole colpirono il suo bicipite.
"Siete finito!" urlò il Conte esultante, ed incalzò. Il giovane cominciò a trovarsi in difficoltà. O almeno così sembrava. "Non potete resistere ancora a lungo!" esultò il Conte, e le sue parole furono quasi profetiche; dopo una brillante ma disperata difesa, la lama del Conte trovò finalmente un varco e penetrò in profondità nel petto del giovane nobile, una rosa scarlatta si formò sulla sua camicia immacolata. Le dita inerti del giovane lasciarono cadere la spada, poi anch'egli cadde in ginocchio ed infine si spense sul prato profumato della grande villa.
"E' stato uno sciocco -disse un cortigiano alla sua dama- Non conosceva l'abilità del Conte".
"Mi spiace per una vita così giovane -disse il vincitore, riponendo la spada e facendosi aiutare da un servitore- Ma la troppa sventatezza si paga".
"Era solo molto cortese... che spreco", sussurrò la consorte, lo sguardo fisso sul corpo senza vita del giovane galante.
"Troppo cortese. Corteggerà il diavolo, ora. Portatelo via, ed avvertite i parenti, se ne ha, altrimenti seppellitelo insieme ai plebei".
"Era un nobile!", protestò la Contessa. Il Conte la ignorò.
Nella locanda il fracasso era incredibile. Un gruppo di guardie scherzava con le cameriere, mentre l'oste si adoperava per servire tutti i clienti nel miglior modo possibile, per lui ovviamente, cioè annacquando quanto più vino possibile. I quattro erano seduti attorno ad un tavolo e parlottavano con un uomo di bassa estrazione sociale, come loro, del resto, che era evidentemente un servo di qualche nobilotto. I quattro si occupavano della sistemazione dei cadaveri indesiderati, soprattutto nobili senza parenti che avevano osato troppo nei confronti di qualche nobile signore.
"Cosa ci vuol fare il tuo padrone con il corpo di quel Conte?" chiese uno dei quattro al servo.
L'uomo abbassò la voce: "Il mio padrone conosceva il Conte da quando era bambino, ed era molto amico del padre. Quando questi morì gli promise che avrebbe vegliato su suo figlio, ma dato che ormai il giovane ha trovato il suo destino, il mio padrone vuole almeno dargli una degna sepoltura nella sua terra natia".
"Mi sembra ragionevole -disse un altro dei quattro- E quanto è disposto a spendere il tuo padrone per il nostro incomodo?"
Il servo depose sul tavolo una borsa di pelle, piena di monete d'oro: "Credo che queste dovrebbero bastare". Uno dei quattro prese la borsa e la nascose nelle pieghe dell'ampio mantello, poi si alzò seguito dagli altri.
"Vieni a prenderlo questa sera, ma bada di non essere visto. La bara sarà appena fuori dai cancelli del cimitero". Quando i quattro furono usciti, il servitore sospirò e si concesse un bicchiere di vino.
Era notte fonda. Nei pressi del cimitero del popolo il silenzio era ancor più opprimente; il vento ululava tra le cime degli alberi mentre qualche gufo emetteva il suo cupo richiamo. Il servitore procedette a cavallo fino ai cancelli del cimitero, tirandosi dietro un'altra cavalcatura, alta e nervosa. Nei paraggi non c'era anima viva, il che era anche normale, in un cimitero: qualunque buon cristiano avrebbe avuto timore ad avvicinarsi al cimitero di notte, ma l'uomo non temeva nulla, perché aveva fede nel suo dio personale, un dio tangibile con cui aveva condiviso molte avventure. Ed ora il suo dio aveva bisogno del suo aiuto. Il servo trovò la bara esattamente dove avevano detto i quattro. Legò una corda intorno alla cassa e la fece trascinare nel bosco vicino dal cavallo che montava; non si servì dello stallone nero perché questi era un animale troppo nobile per abbassarsi a fare una cosa del genere; e poi era del suo padrone. Dopo che ebbe cancellato le tracce lasciate dalla bara, si adoperò per aprirne il coperchio, e dopo poco riuscì a schiodarlo.
"Evidentemente, pensò, il becchino era già pronto per seppellirlo". Nella bara giaceva il suo padrone, coperto solo da un telo, perché il becchino, come sempre, aveva provveduto a spogliare il cadavere di ogni cosa che potesse essere rivenduta. Sicuramente con gli abiti ed i gioielli del suo padrone quell'avaro avrebbe ottenuto un bel gruzzolo. Il servo scoprì il volto del Conte.
"Padrone - sussurrò avvicinando la bocca al suo orecchio – Padrone, sono io, Jon. Mi sentite padrone?" Le palpebre del morto ebbero un fremito, poi questi le aprì e due occhi grigi fissarono il viso di Jon, il quale ringraziò per quel miracolo che il suo padrone aveva compiuto ancora una volta. Il giovane Conte sorrise, ed il suo sorriso rese ancora più affascinante quel volto che centinaia di dame avevano trovato irresistibile, poi si mise a sedere.
"Anche questa volta è andata!", esclamò soddisfatto, sfiorando il bracciale che gli cingeva il braccio.
"Ma il becchino non ha provato a rubarlo, padrone?"
Il giovane rise e si alzò, scrollandosi di dosso il telo grigio; la luce della luna si dilettò ad accarezzare quel corpo perfetto, atletico, attraversato da muscoli scattanti, prima che lui iniziasse a vestirsi con gli abiti che Jon aveva portato. "Ci ha provato, certo, ma ogni qual volta riusciva a togliermelo, il mattino dopo lo ritrovava nella bara con me. Dopo sei volte, ha desistito, deducendo che dovesse trattarsi di un oggetto maledetto. Se avesse sospettato che era il morto che si alzava ogni notte per riprenderselo, le sue deduzioni sarebbero divenute certezze!"
"Non so proprio come facciate. Siete grande, padrone!" esclamò il servo, pieno di sincera ammirazione.
"Lo so -sorrise il Conte, poi montò a cavallo- Andiamo via, ho bisogno di tempo per pensare..
Luther? Sei in contatto?
La voce parlò nella testa del giovane Conte, mentre con il suo servo attraversava il bosco.
Sono in contatto. Ho eliminato il mio personaggio non senza fatica, ed ora vedete di spiegarmi cosa succede.
L'altra voce attese un poco prima di rispondere.
Artemis Dream è alla ricerca di Esteban, è necessario che tu vada da lui per aiutarlo.
Luther trattenne il fiato.
"Per controllarlo, volete dire. Io sono un Bounty Hunter, non un Bounty Killer! Ho trovato Monty e ve l'ho consegnato, come volevate voi, e mi avevate concesso qualche mese di vacanza. Me la stavo passando così bene prima che mi chiamaste! Protestò."
I tuoi problemi non ci interessano! Tu sei un Bounty Hunter, e come tale devi fare il tuo lavoro. Non ricordi cosa capita a quelli che disubbidiscono?
Luther serrò i denti e strinse le redini con nervosismo: sapeva bene cos'era successo a coloro che si erano ribellati, ma quelli era semplici umani, mentre lui... eppure neanche Artemis aveva mai provato a fuggire, fino ad ora. Chissà, forse era proprio questo che temevano alla Corporazione, altrimenti perché lo avevano richiamato? Artemis non aveva certamente bisogno di aiuto contro Esteban, era stato proprio lui a non aver voluto un compagno in quella caccia. Luther pensò all'ipotesi di ribellarsi, ma la scartò immediatamente: lui era riuscito sempre ad integrare il lavoro e la sua libertà; era riuscito a perdonarsi per quello che si era fatto fare ed a convivere con se stesso, sebbene dopo molte sofferenze; era quasi sempre riuscito ad evitare il fuoco e non voleva ritrovarsi braccato come un fuorilegge; lui odiava la violenza, odiava quei maledetti banditi che la trovavano tanto normale, ed i Bounty Killers che si abbassavano al loro livello. No, se Artemis avesse provato a fuggire, lui non lo avrebbe imitato, ed anzi, lo avrebbe eliminato prima che potesse essere troppo tardi: in fondo Artemis Dream era stato un fuorilegge e forse nel suo animo lo era ancora, mentre Luther Wyndham era sempre stato un Bounty Hunter.
"So bene cosa succede a quelli che disubbidiscono, ma io non ho intenzione di farlo. Sapete bene che non nutro più risentimenti e sono molto fedele ai miei doveri. Ditemi dove si trova Artemis, così vedrò di raggiungerlo."
La risposta gli arrivò chiara ed il tono era estremamente sollevato. Gli comunicarono l'attuale posizione del Bounty Killer, e Luther la memorizzò, poi il contatto venne interrotto, dopo che ebbero programmato un nuovo contatto dopo qualche giorno.
"Dove andiamo padrone?" domandò Jon a Luther.
Il giovane si giro sulla sella e lo guardò: "Dove andrò io, Jon. Tu rimarrai qui".
Il servo si dimostrò ferito: "Ma io voglio servirvi ancora! Non mi importa se non potrete pagarmi, tanto non lo avete mai fatto. Per con voi mi sono divertito, almeno non ci si annoiava mai. Non abbandonatemi padrone!"
Luther scosse la testa e rallentò un po' il proprio cavallo per affiancarsi a quello di Jon: "Dove vado io tu non puoi venire, Jon".
"Cosa intendete dire? Non vorrete commettere una sciocchezza, spero!" esclamò il servo, sinceramente preoccupato.
Luther si commosse per tanta preoccupazione: "Ti ringrazio, Jon -gli disse, posandogli una mano sulla spalla- Tu sei stato per me più di un servo... un amico fidato".
"Non molto, però -lo interruppe Jon, nella sua voce si avvertiva una punta di amarezza- Io vi ho visto fare cose incredibili, nessuna pistola e nessuna spada vi ha mai ucciso, anche se siete stato ferito mortalmente più di una volta; io non credo che voi siate un demonio infernale, anche se un buon cristiano sarebbe portato a crederlo, ma non potete nascondere che c'è qualcosa di strano in voi -Jon deglutì prima di continuare - Io sono disposto a fare qualsiasi cosa per voi, anche a morire, ma voi dovete fidarvi di me, padrone".
Luther annuì, poi guardò avanti e sospirò: "Il bracciale che porto al braccio non è solo un monile a cui tengo particolarmente, ma è il mezzo che mi ha condotto qui e quello che mi permetterà di andarmene via. Sarà difficile da spiegare".
Jon annuì: "Provateci, padrone".
"Va bene. Io non sono nato in quest'epoca, la mia nascita avverrà tra circa tre millenni".
"Cosa? -chiese Jon, che aveva seguito a fatica- Voi non siete ancora nato?"
"Sì e no. Insomma, per me il 1760 è il passato, mentre per te la mia epoca sarà il futuro. Tra tre millenni l'uomo potrà muoversi nelle epoche come tu ti sposti da una regione all'altra, ma solo nel passato, ormai".
Il servo, che era ignorante ma non stupido, si fece pensieroso: "Dunque quel bracciale vi permette di muovervi nel tempo. Dove andrete ora?"
"Devo cercare un altro come me che si trova nel 1860. Noi cerchiamo i fuorilegge del nostro secolo che sono fuggiti nelle epoche passate e li riportiamo indietro. Io sono un Bounty Hunter, cerco i fuorilegge e li riconduco vivi, per incassare la taglia, una parte della quale va alla mia Corporazione. L'uomo che devo cercare è un Bounty Killer, uno come me, ma che uccide i ricercati, perché ritiene che portarli vivi sia un incomodo inutile."
"E voi non approvate."
"Infatti, ma non sta a me decidere. Ora da costui si teme un tradimento, si crede che voglia sottrarsi alla direzione della Corporazione, e questo non deve succedere".
"Non mi avete detto tutto, vero? -disse Jon, ma non attese una risposta, perché era più che ovvia- Non importa. Io vengo con voi, comunque. Non credo che vi sarò di intralcio."
"No, anzi mi saresti di aiuto, ma non voglio mettere a repentaglio la tua vita".
Jon sorrise: "Io non ho nessuno, padrone, e la vita avventurosa mi piace".
"Va bene, allora - disse Luther con un sorriso, regolò il distorsore poi annuì- Verrai con me."
Poi scomparvero.