di Cristiano Chesi
Terzo classificato al I Trofeo RiLL
Nella prima stanza c’era il deserto.
Una distesa sottile e infinita di sabbia dal colore delle ossa.
Sotto i piedi nudi i granelli finissimi cedevano ed avvolgevano i passi rendendo faticoso proseguire.
Continuai a vagare per un miglio (o due? o tre?) finché non riuscii più a restare in piedi; allora cominciai a trascinarmi con i gomiti e con le ginocchia. Non esisteva in quel luogo nessun tipo di liquido e quindi cercò di succhiarsi via anche l’ultima goccia di vita che trattenevo in me. Lentamente, infatti, mi disseccavo e bruciavo sotto i raggi appuntiti del sole azzurro.
E’ stato studiato che senza un punto di riferimento chiunque creda di procedere dritto in realtà descrive un enorme cerchio verso destra e pian piano torna al punto di partenza. Così mi arresi alla scienza e seguii il cerchio dell’orizzonte. Proprio mentre la schiena si stava spezzando e gli arti iniziavano a tremare percorsi dai brividi di febbre, ritrovai le mie orme e finalmente mi accorsi che la porta era proprio là vicino: una porta di vetro in un deserto di sabbia.
La maniglia era così fredda che mi scottai per la furia di aprirla e senza pensarci due volte mi gettai nell’oceano che si nascondeva dietro.
L’aspetto della seconda stanza era molto simile a quello della prima, eccetto i colori, anche lui stava diventando sempre meno originale. Verde pallido era l’acqua, rosa- arancio il cielo.
Nuotai per un’ora (o due? o tre?) finché non riuscii più ad alzare le braccia. Fu così che per rabbia e per stanchezza decisi di lasciarmi affondare.
Giunto sul fondale mi parve di essere tornato nella prima stanza, dalla quale forse potevo anche non essere mai riuscito ad uscire. L’acqua limpidissima per metri e la sensazione di impotenza mi provocarono violente vertigini. Persi i sensi e mi accasciai sul comodo fondale. Grazie al clima gradevole ed al flusso delle correnti che mi cullava riuscii a sognare. Nel sogno trovai la seconda porta.
La terza stanza si apriva con un ampio salone medievale con mura pallide, dalle quali pendevano drappeggi porpora; fiaccole violacee oscillavano dal soffitto giocando con le ombre delle scale gotiche e delle armature in ferro arrugginito. Salii al piano superiore attratto dai riflessi neri che sfioravano le pareti del corridoio come fosse di velluto. La porta sul fondo non era più lontana di una decina di metri. Feci un paio di passi distratto dai riflessi cangianti ed ipnotici che mi circondavano e quando guardai di nuovo la porta mi parve fosse sempre più lontana (venti metri?); mi avvicinai ancora, ma inutilmente (trenta metri?). Iniziai a correre per raggiungere il varco, ma esso pian piano si perse nell’infinito ed io fui avvolto dal velluto carnoso e palpitante del corridoio. Capii allora il suo trucco: aveva lasciato dietro di sé un po' d’Angoscia. Bastò così chiudere gli occhi e fare un paio di passi indietro per trovarmi con le mani sulla terza porta. L’aprii ed entrai nella quarta stanza.
Buio totale. Buio e freddo. Assenza di gravità. Qua aveva lasciato la Paura: soffi gelidi e urla taglienti tormentavano i miei timpani; mani scheletriche serravano le mie caviglie e i miei polsi. Urlai la mia rabbia contro gli spettri ed alcuni fuggirono. Mi aggrappai ad uno di loro e grazie ad un’impercettibile variazione di calore percepii la presenza di un nuovo varco. Riuscii così ad aprire la quarta porta.
Finalmente lo trovai; era là tra le pagine di quei libri.
Corsi verso di lui saltando da volume a volume. Anche lui mi vide e mi lanciò contro fiamme che incendiarono la strada che ci separava. Le pagine si strapparono e si accartocciarono per il calore tra i vortici fiammeggianti. Lui era già scomparso. Cercai di raggiungere le parole che ancora devono essere scritte e saltando il fuoco mi lanciai nel varco che univa il pensiero alla storia...
Mi ritrovo nel mezzo di una strada di una gigantesca megalopoli, come quelle di cui si parla nei romanzi di fantascienza, e vengo investito da un autobus pubblico. Ripresomi dallo shock vedo il suo mantello nero sul lato opposto della strada. Corro tra le auto impazzite e congestionate dagli insulti e dai gas di scarico; posso attraversarle liberamente come un fantasma e in un attimo riesco ad afferrare il suo mantello. Lui si blocca ma non si volta subito.
"Ti sei fatto un bel giro nella storia, vero?"
"Già, ma adesso è il momento di mettere la parola fine a questo assurdo racconto..."
"Oh, no, ancora non ho trovato le risposte alle mie domande... dai un’occhiata al futuro e poi raccontami...", e così dicendo si volta verso me.
Sotto il suo cappuccio vedo lo spazio stellare, il nulla cosmico e vengo avvolto da nebulose fluorescenti in espansione (o in contrazione?).
Nella prima stanza ci sarà il vuoto interstellare.
Non riuscirò a fuggire dalla tremenda forza di gravità esercitata sulla mia umile massa da un modesto buco nero ormai sull’orizzonte degli eventi...
CLIC
"Allora, come è andata?"
"C’ero, Cristo, l’ho persino toccato, ma non sono riuscito a fermarlo"
"Vuoi provare di nuovo?"
"No, per oggi basta. Non credo di essere in condizione di affrontarlo nuovamente, lui è sempre più forte ed io sempre più debole."
"Sapevi che ti sarebbe sfuggito, e sai che ormai arriverà dove vuole... perché non lo lasci stare? Non credo che quando avrà saputo quello che vuole tornerà a tormentarci con le sue risposte..."
"... E se lo facesse? Se tornasse con le prove che siamo solo una manciata di impulsi su un microfilm superconduttore... o solo il pensiero incompiuto di un bambino... non tutti vogliono sapere la verità. La verità è solo la fine della creatività e della speranza..."
"Già... non tutti lo vorrebbero... ma dimmi una cosa, tu come credi di fermarlo?"
"Non lo so. Non ne ho la più pallida idea. Forse continuando a seguirlo scoprirò il suo punto debole... o forse parlando ancora con lui..."
Ma quando mi svegliai capii che lo stavo seguendo per scoprire con lui la verità.