Il mio nome è Luigi Rinaldi e queste sono le mie storie

Intervista a Luigi Rinaldi su Oscuro Prossimo Venturo, antologia di suoi racconti fantastici curata da RiLL
di Alberto Panicucci
[pubblicato su RiLL.it nel febbraio 2019]

Dal 2012 le antologie personali della collana Memorie dal Futuro si chiudono con un'intervista all'autore dei racconti pubblicati nel volume. Con piacere proponiamo adesso on line le domande e le risposte di Luigi Rinaldi sui racconti di Oscuro Prossimo Venturo (e non solo!).


Luigi, quest’anno l’antologia personale di RiLL è dedicata a te. Che effetto ti fa?

È una sensazione senz’altro piacevole, quasi quanto un gol della mia squadra del cuore al 90°. Non capita certo tutti i giorni e sono felice.
Però, non nascondo un certo disagio. Non sono mai a mio agio quando mi trovo al centro dell’attenzione, devo sforzarmi per rimanerci: sono stato nutrito e allevato nel Dogma dell’Insicurezza e me la porterò dietro fino a quando la Terra continuerà a girare attorno al Sole.

Questa è la tua prima pubblicazione “in solitaria”. Vuoi dedicarla a qualcuno?

Sono sposato con una donna giapponese. Si chiama Yumi e fa la traduttrice. Lasciami dire che dedico a lei questo libro.

Il sottotitolo del libro è Racconti di Fantascienza, e già questo proietta verso il futuro. Le tue storie spesso sono cupe, descrivono mondi in cui speriamo di non finire a vivere. Il che, in realtà, è abbastanza ricorrente nella fantascienza: immaginare futuri negativi, un oscuro prossimo venturo in cui vengono ambientate delle storie. Perché, secondo te?

Subiamo più o meno tutti, chi scrive e chi legge, il così detto fascino della catastrofe. Penso sia qualcosa di catartico, legato all’esorcizzare le paure. Anzi, più che paure, direi che si tratta di inquietudini: sono le risposte alle domande fondamentali, del tipo “dove andremo a finire?”.
E, dato che si tratta di fare i conti con una sorta di inquietudine collettiva, non personale, direi che è facile, per chi scrive e ha un minimo di immaginazione, buttarne giù i contorni e, per chi legge, intuirne le dinamiche.
Tutti ci riconosciamo nelle paure. Perché, mentre le speranze sono personali, le paure sono collettive.

E, oltre a questi motivi, perché tu nei tuoi racconti scrivi di futuri oscuri?

Prima di tutto, per una questione caratteriale. Essendo un insicuro, mi trovo più a mio agio nel descrivere le mie paure che non le mie speranze.
E poi perché, mentre quasi tutti discutono dell’oggi, pochi pensano davvero al domani. C’è ancora chi, ai vertici di questo pianeta, tratta l’Effetto Serra come una sciocchezza, negando l’evidenza. Si dà per scontato che l’acqua dolce sia una risorsa illimitata o che ci sarà sempre cibo a sufficienza per tutti.
Ancora: oggi, quando sentiamo parlare della dipendenza dai social network, la percepiamo come qualcosa di buffo, eccentrico. Ma possiamo sapere che effetti avrà questa dipendenza tra vent’anni? In che tipo di società ci trasformerà?

Io credo che la cosa peggiore che possa capitare è trovarsi improvvisamente in un futuro inquietante senza accorgersene, senza sapere come ci si è arrivati. Ti svegli una mattina e scopri che le regole sono cambiate in peggio e che magari il problema sei tu, che ce l’hanno proprio con te.
Insomma, nel mio (molto) piccolo, cerco di parlare del Domani, di scenari come questi. Sperando, ovviamente, che le cose vadano in modo diverso...

Un tema che ricorre nelle tue storie è l’amore, che a seconda dei casi è tradito, oppure perso, oppure rimpianto dai personaggi... e questo dà ai racconti un retrogusto dolceamaro, ma anche molto umano.

Io sono un romantico. Mi piacciono le storie d’amore struggenti. Adoro gli amori impossibili. Ma, attenzione, detesto il sentimentalismo. Sentimentalismo e romanticismo sono due cose agli antipodi.
Per esempio, io trovo molto romantico Gibson e tutto il Cyberpunk, cui sono molto legato, perché ritengo che abbia segnato un certo periodo della mia vita.
Quasi sempre le mie storie d’amore finiscono male. Colpa del mio retaggio classico, di Goethe e di Foscolo che mi hanno inquietato l’adolescenza!
Del resto gli happy end piacciono a tutti, ma sono alquanto noiosi…

Nel libro, l’unico racconto che lascia una porta aperta all’happy end, almeno sentimentale, è Quelli dell’Impianto... che però è anche la storia più grottesca e trash!

In Quelli dell’Impianto ho giocato tanto sui contrasti.
È un racconto molto particolare, quasi autobiografico: quei personaggi, quei luoghi, sono frammenti di vita vera. Il trash, l’umorismo di quella storia sono legati a una vita lavorativa che oggi non esiste più, parlo di prima del 2000; era un contesto in cui i problemi erano affrontati in modo disordinato ed esilarante, inefficiente ma forse più umano. In quel caso il Romanticismo è la Nostalgia.
Fa pensare che il mio racconto più grottesco sia anche quello più “realistico”!
A ogni modo, ci sono molti luoghi misteriosi al mondo, ma pochi lo sono come gli impianti di depurazione! Solo chi ci ha lavorato, come me, lo sa…

Un elemento interessante è che spesso ambienti i tuoi racconti in un vicino molto prossimo: Fiocchi di neve in primavera, Il mio 1978, Parole proibite, Prova di recupero si svolgono tutti in Italia, un’Italia (a seconda dei casi) futuribile oppure alternativa a quella in cui viviamo...

Sono stato folgorato sulla Via di Damasco dell’Ucronia quando ho letto "La Svastica sul Sole" di Philip Dick. Veniva citato in un angolino del mio libro di testo di Italiano, in Terza Liceo. Un mondo dove i Nazisti hanno vinto la guerra? Ma scherziamo? Fammi un po’ vedere!
Da allora questa fascinazione non mi ha più abbandonato.
Spesso racconto di realtà alternative, ma non troppo lontane dalla nostra. Penso che in molti viviamo le inquietudini di quello che sarebbe potuto succedere. Anche qui, torna il tema della Paura.
A volte mi chiedo se la Storia non sia stata indirizzata anche da eventi meramente casuali. Lo è senz’altro per le nostre vite e se, come dice De Gregori, “la Storia siamo noi”, la sommatoria degli eventi casuali genera un evento casuale su larga scala.
Io credo sia così, almeno in parte. L’Oggi è tale solo per una serie di circostanze fortuite. Nessuno può sapere se le libertà di cui godiamo siano il frutto di un processo storico ben definito (così doveva andare), o se semplicemente “ci ha detto bene”. Quindi, quello che può accadere domani non dipende solo da noi. Dovremo affidarci un pochino alla fortuna o ad Altro, se crediamo.

I racconti in questa antologia sono stati scritti nel tempo, ma talvolta si notano punti di contatto, quasi un’ambientazione comune sullo sfondo. Ad esempio, il ragazzino protagonista di Prova di Recupero vive in una società che si dichiara multiculturale e deve affrontare un esame per non essere “terminato”, mentre la nipote del protagonista di Processione Cremisi deve superare una prova (di recupero) per non essere “declassificata”, e vive in una società multiculturale. Ugualmente, in Samurai in Autunno e Processione Cremisi si accenna ai modecom, che sono in sostanza dei cellulari. È come se tu in testa avessi un quadro, e ogni tanto questo ordito emergesse...

Serge Brussolo chiama i personaggi dei suoi romanzi sempre con gli stessi nomi: Lise e David Carella. Magari ho preso un po’ da lui. Del resto considero "Les foetus d’acier" (I soldati di catrame) uno dei miei romanzi formativi.
Al di là dell’aneddoto, quel che dici è vero. Ho un quadro. Anzi, dei quadri. Si tratta di romanzi che ho in testa, ma che non riesco ancora a trascrivere su carta. Le dinamiche, le motivazioni, i personaggi mi sono chiari, ma mi manca sempre qualcosa per dire: “ecco, questo romanzo è convincente”. La cosa, davvero, mi stressa quasi fisicamente.
Per fare una metafora, è come se in mente avessi l’intero Universo Marvel e non riuscissi a tirarlo fuori per intero. Così, ogni tanto, pesco un Punisher, un Hulk… e racconto una storia su quel che ho pescato.
Magari questi miei “romanzi fantasma” non sono proprio ben interconnessi. Però si influenzano l’un l’altro, tipo l’entanglement quantistico.

Come scrivi le tue storie?

Prima nasce l’idea. Nell’idea c’è già quasi tutto. È il racconto liofilizzato, devo solo gettarlo in acqua.
Ho notato che le idee mi vengono quando sono occupato, mai quando sono rilassato. È la dimostrazione che per avere delle idee occorre solo che il cervello lavori. Da un po’ mi porto in giro un moleskine, per scrivere qualcosa, qualunque cosa, appena mi passa per la testa.
Poi, il resto viene da sé. Alcuni particolari si delineano mentre scrivo. E a volte l’ideona mi viene proprio quando sto per rivedere il tutto.
Ho notato che più si scrive... più si scrive. È come un allenamento.

Scrivi da anni. Spesso finalista e/o premiato in concorsi letterari (al Trofeo RiLL ne sappiamo qualcosa), e pubblicato su antologie. Inoltre, il tuo romanzo Hakkakei è stato finalista al Premio Urania e al Premio Odissea. Però questa è la tua prima pubblicazione “in solitaria”. È un paradosso o cosa?

La storia del mio romanzo è piuttosto travagliata. Ho anche ricevuto una proposta di pubblicazione da una casa editrice seria, con contratto e tutto il resto. Abstract, riassunto, biografia... ho inviato quanto richiesto, ma poi non se ne è fatto nulla. Tutto finito in un buco nero rotante.
Alla fine ho dovuto auto-pubblicare il romanzo (lo trovate su Lulu.com).
Non è facile ritagliarsi un proprio spazio. Ma come si dice, e non è un luogo comune, se non si crede in se stessi, se non si ha la forza di perseverare, è meglio lasciar perdere.

Come vedi il mondo della fantascienza, in Italia?

Nel nostro paese si legge poco, tutti lo sanno. Rispetto al Giappone, che è un po’ la mia seconda patria, non c’è partita.
Se poi parliamo di fantascienza, basta entrare in qualche libreria famosa delle nostre città per accorgerci che la troviamo relegata in una sezione grande si è no mezzo scaffale, dove i titoli si riducono per lo più ad Asimov, Dick, Clarke e pochi altri.
Questa è la realtà, c’è poco da fare.
Tuttavia, anche se siamo pochi, siamo buoni. Nel senso che c’è un movimento fertile di idee, di qualità, di professionalità, di talento che, seppure ai margini del mondo editoriale, non ha nulla da invidiare al contesto anglosassone. E lo dico con assoluta sincerità.
Quello che ci manca, secondo me, è un Panatta della Fantascienza, qualcuno che, con un successo internazionale, “inneschi la fiamma”.

Rispetto al passato la fantascienza è stata sicuramente sdoganata (basta vedere quanti film sono di questo genere o hanno elementi fantascientifici nella trama). Ma si legge poco. Anche fra i tuoi alunni?

In effetti, se ci rapportiamo al cinema, vediamo che la fantascienza la fa da padrona. Su dieci film di successo almeno la metà sono di questo genere.
I miei alunni amano la fantascienza, la vedono, nei film o nelle serie TV. Se parliamo di libri, invece, lasciamo perdere. Sono pochi i ragazzi che la leggono. Quando capita che ne scopro uno, quasi mi commuovo.
Molti sono appassionati di manga e questo per me è un vantaggio, conoscendo un po’ di giapponese...
In Italia, in ambito letterario, la fantascienza è considerata in modo piuttosto ancillare, al pari dei fumetti. Quando sento dire che "1984" di Orwell non è un romanzo di fantascienza (per non “svilirlo”) mi ribolle il sangue. Uno Stanislaw Lem avrebbe meritato sicuramente il Nobel, per quanto mi riguarda.

A proposito del tuo lavoro di insegnante. Posso chiederti, allargando un po’ il discorso, qual è il rapporto tra i ragazzi delle tue classi e la Scienza?

Insegno Chimica nelle scuole secondarie da cinque anni. Prima ho lavorato per quasi vent’anni in varie ditte private. Provai il concorso per l’abilitazione all’insegnamento molto tempo fa, quasi per caso... La mia esperienza con i ragazzi è relativamente recente.
La Chimica è una materia particolare. O la si ama o si odia. In genere la si ama, o perché si è visto "Breaking Bad" o perché il suo studio viene “accompagnato” con esperimenti di laboratorio, una struttura che non è presente in tutte le scuole.
Quando svolgo un esperimento ottengo la vera attenzione dei ragazzi e allora, ecco il momento più bello per un insegnante: fioccano le domande, a grandine!
Purtroppo devo fare anche un grosso lavoro di enucleazione dalle loro teste delle fake news scientifiche che abbondano in Rete e fanno danni seri (ci dovrei scrivere un racconto!).

Torniamo ai tuoi futuri letterari. Al di là dei racconti in questo libro, per te cosa c’è dietro l’angolo, ora? Hai progetti, idee, obiettivi?

Come dicevo prima, sto combattendo con due o tre romanzi. Uno credo che prima o poi lo porterò a termine. Non so quando, non so come, ma lo finirò.
Poi, un mio piccolo sogno è scrivere qualcosa per i lettori giapponesi. Ho già qualche contatto. Ho lavorato in passato con mia moglie Yumi, commentando come copywriter un libro fotografico su Venezia, venduto in tutto il Giappone.
Non mi dispiacerebbe scrivere sceneggiature per un manga. Ho tre o quattro idee, e una penso sia proprio una bomba. Ma non è facile. E non è solo una questione di linguaggio: c’è una barriera culturale assai difficile da superare.
Ma, comunque, ci penserò.


(nella foto: Luigi Rinaldi a Lucca Comics & Games 2015, con la targa premio per "Quelli dell'impianto"; foto di Anna Benedetto)


Luigi Rinaldi
Oscuro Prossimo Venturo
Racconti di fantascienza
Wild Boar Edizioni
146 pagine, formato tascabile.
Illustrazione di copertina: Valeria De Caterini
prezzo di copertina: 10 euro (il libro è disponibile su Amazon, Delos Store e Satellite Libri)
prezzo speciale RiLL:
10 euro (spese postali incluse)





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