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Recensione delle antologie Io, robot e Il secondo libro dei Robot
di Alberto Panicucci
[pubblicato su Continuum 30 nel gennaio 2009; su RiLL.it, con modifiche, da gennaio 2010]
Sulla e-zine di fantascienza Continuum propongo da qualche tempo, grazie alla gentilezza del suo responsabile Roberto Furlani, alcune recensioni doppie di opere fantascientifiche (classici, soprattutto). Con “recensioni doppie” intendo recensioni di coppie di libri, legate da un qualche fil rouge (stesso autore, stesso tema…)
In questo articolo presento due antologie del grande Isaac Asimov.
Io, robot (1950) e Il secondo libro dei Robot (1964) sono due capisaldi della letteratura fantascientifica.
Le due raccolte contengono in totale una ventina di racconti, scritti fra i primi anni ’40 e la fine del decennio successivo, ambientati più o meno tutti nel XXI secolo.
Trait-d’union delle storie sono le “avventure” dei dipendenti della U.S. Robots and Mechanical Men Corporation, la compagnia americana leader mondiale della robotica. Ecco quindi avvicendarsi come protagonisti e comprimari Gregory Powell e Mike Donovan, collaudatori di modelli robotici, Alfred Lanning, vecchio e carismatico direttore delle ricerche, Peter Bogert, matematico capo, e, infine, Susan Calvin, la robopsicologa che è senza dubbio il personaggio che più spicca e resta nella memoria, col suo carattere austero e puntuto, la sua preparazione e il suo amore verso le macchine, cui ha scelto di dedicare la vita.
In queste due antologie vengono enunciate e sviscerate, storia dopo storia, le tre leggi della robotica, inserite nei cervelli (c.d. positronici) di tutti i robot, e che permettono loro di essere il miglior “strumento” mai avuto a disposizione dall’uomo.
Citare qui tali leggi è forse pleonastico, ma non resisto alla tentazione di dare spazio a tre assunti che tanto hanno segnato la fantascienza e il suo immaginario:
Prima Legge: un robot non può recar danno a un essere umano, né permettere che, a causa della propria negligenza, un essere umano patisca danno.
Seconda Legge: un robot deve sempre obbedire agli ordini degli esseri umani, a meno che non contrastino con la Prima Legge.
Terza Legge: un robot deve proteggere la propria esistenza, purché questo non contrasti con la Prima o la Seconda Legge.
Mi è capitato svariate volte di sentir dire che i racconti di Asimov sono grandi, ma che oggi nessuno scriverebbe più storie simili. Questa frase mi è restata in testa, e quindi vorrei cercare di analizzarla.
Perché, se l’originale è valido, ci si aspetterebbe che venga preso a modello, e quindi copiato, non che venga messo in un cassetto, a prendere polvere.
Quindi mi chiedo: perché ha ancora senso, oggi, leggere e (più importante) riflettere sui racconti robotici di Isaac Asimov?
Si può rispondere alla domanda, credo, su due diversi piani: uno tecnico, l’altro contenutistico.
Come tecnica, c’è poco da discutere.
La prosa di Asimov è lineare, chiara, i personaggi sono descritti in modo breve ma puntuale, la caratterizzazione psicologica è semplice ma non banale, e le “soluzioni” dei racconti generalmente ben congegnate e in armonia con quanto precedentemente narrato. C’è qualcosa di “geometrico” in queste storie (non a caso Asimov scriveva anche gialli), e molto da imparare a livello tecnico.
Io amo la semplicità stilistica, specie nei racconti… e in questo senso Asimov è il massimo. Ogni volta che li leggo ho la netta sensazione che l’autore russo abbia scelto volutamente questo stile, non per “volare basso” e “rischiare poco” (come può decidere di fare, ad esempio, un esordiente che non sia sicuro dei propri mezzi espressivi), ma perché lo riteneva il più adatto, quello maggiormente in grado di valorizzare i suoi lavori. Infatti questi racconti scorrono, si finiscono d’un fiato. Il che rende la loro lettura molto piacevole e favorisce la nascita di una certa “empatia” con essi.
Scusate se è poco.
A livello contenutistico il discorso è forse più complesso.
Per questo, a Lucca Comics & Games 2007, quando ho moderato una piccola conferenza sulla fantascienza e la sua storia (l’occasione dell’incontro erano tre ricorrenze più o meno concomitanti: 15 anni dalla scomparsa di Asimov, 25 anni dalla morte di P. K. Dick, e il trentennale del primo “Guerre Stellari”), ho chiesto un parere sul tema a Massimo Pietroselli, giurato del Trofeo RiLL e soprattutto scrittore premio Urania (con “Miraggi di silicio”).
In buona sostanza, l’amico Massimo rispose dicendo che oggi Asimov è fuori moda perché la sua narrativa è frutto della mentalità scientifica (e scientista) che lui stesso aveva. Il che è ben poco in armonia con un certo gusto per l’irrazionale che, invece, va oggi per la maggiore.
Mi sembra una risposta molto interessante.
Io penso che questi racconti, mettendo al centro i robot e la loro “interazione” con gli umani, finiscono per parlare di scienza, di come questa tocchi la nostra vita e di come il nostro modus vivendi richieda un certo adattamento ai ritrovati tecnologici, che dobbiamo “imparare” a usare al meglio.
E, parlando di scienza, questi racconti lo fanno in modo positivo, fiducioso, ottimista.
È forse la parte più importante e, sottolineo, ancor oggi attuale di questa narrativa.
Non è semplicemente che Asimov dica di avere fiducia nelle macchine e nella ricerca, perché è chiaro che nella stessa fantascienza si trovano esempi di storie che invece fanno della scienza e delle macchine il nemico dell’Umanità (pensiamo a “L’esercito delle dodici scimmie”, o a “Matrix”, per stare al cinema). Ogni storia si basa sul dramma, su situazioni di crisi, e si può ugualmente costruire una buona storia (un buon dramma) rappresentando scienza e tecnologia in modo positivo o negativo, a seconda dell’ispirazione. Non è questo il punto.
I racconti di Asimov sono ancora attuali, e affatto ingenui o scontati, perché riescono a parlare in modo credibile del mondo intorno a noi.
Grandi compagnie che investono in tecnologia, nelle quali operano fior di ricercatori, ci sono davvero. E infatti ogni giorno si legge di scoperte, e di nuovi prodotti che diventano disponibili. E, come nei racconti di Asimov, ci sono resistenze, timori, paletti che vengono posti (anche giustamente, ci mancherebbe!).
Asimov descrive un mondo non così lontano o dissimile dal nostro, e le sue storie indicano una direzione: quella della ricerca e della conoscenza. “Fatti non foste a viver come bruti/ ma per seguir virtute e canoscenza”, scriveva Dante… e le parole “virtute” e “canoscenza” sono non per caso messe accanto!
Apro a questo punto una parentesi di carattere politico, di cui mi prendo la “responsabilità”, visto che su questo sito ci occupiamo di letteratura e giochi, non di politica (ogni RiLLino ha le sue opinioni, ovviamente, ma RiLL è un ente da sempre apolitico e apartitico).
Ho ripensato molto ai racconti robotici di Asimov nel 2006, in occasione del referendum sulla fecondazione assistita. Un referendum che caldeggiavo, e che ho desolatamente perso.
Quel che più mi colpì, allora, come cittadino (laico) e credente (cattolico), fu vedere le alte sfere del mondo ecclesiale italiano ripetere, in tutta la campagna elettorale, l’invito a non andare a votare. Invito che fu raccolto, visto che il quorum venne largamente non raggiunto.
Fu uno spettacolo imbarazzante. La gerarchia, penso, temeva il referendum e così, pur di salvare la Legge 30 (quella che la vittoria del SI’ avrebbe cambiato), puntò a sommare i voti degli elettori che pensava di poter influenzare a quelli degli elettori che tradizionalmente non votano (malati, carcerati, disinteressati…), facendo così mancare il quorum. Spettacolo imbarazzante, per un credente, perché è un calcolo da volgari bottegai. Anni fa fece più o meno lo stesso la lobby dei cacciatori. Avrei sperato che la Chiesa resistesse alla tentazione.
Ma lo spettacolo fu imbarazzante anche perché l’italiano medio obbedì all’invito, disinteressandosi del tema, come non lo toccasse.
E questo porta a parlare del deficit di fiducia e interesse per la scienza che c’è (almeno un po’) nel nostro paese. Perché il referendum, in sostanza, chiedeva un SI’ o un NO alla scienza, rappresentata in quel caso dalla possibilità di ricorrere a tecniche avanzate di fecondazione assistita e di usare embrioni “prodotti” da tale attività per ricerche in ambito medico/ genetico.
Ok, direte voi, ma Asimov che c’entra?
C’entra.
Se le opere di Asimov, così intrise di amore per la scienza, fossero state lette nelle scuole, o comunque fossero state maggiormente diffuse in Italia, forse nel 2006 le cose sarebbero andate diversamente.
Forse mi illudo. Forse la forza della letteratura non è così grande da superare paure, dubbi, ignoranza… ma io questo pensiero ce l’ho, da allora. E per questo spero che nel futuro una certa letteratura fantascientifica abbia spazio e si diffonda, specie fra i più giovani (cioè quelli che faranno l'Italia del futuro... e non è retorica, questa, credetemi!).
Mi rendo conto, a questo punto, che il mio discorso potrebbe essere interpretato nel senso di una contrapposizione netta fra letteratura fantascientifica (pro-scienza) e religione (anti-scienza).
Non è quello che intendo.
In primis, come detto, si può fare (e si è fatta) ottima fantascienza mettendo la tecnologia dalla parte dei cattivi. Lo scienziato pazzo, da Frankenstein in poi, è un ottimo soggetto. Gli stessi robot asimoviani sono così “buoni” e ben disposti verso l’Umanità perché hanno impressa nel cervello la Prima Legge, che indirizza il loro comportamento in ogni contesto e situazione.
Inoltre, non è affatto vero che la fantascienza non possa toccare - e anche bene - tematiche religiose.
Per stare alle mie precedenti recensioni doppie, In senso inverso di Philip Dick si basa su una frase di San Paolo, che fa da spunto iniziale per la storia. La croce di ghiaccio di Lino Aldani è un romanzo che parla di un missionario cattolico, padre Francisco Miranda, incaricato di evangelizzare il lontano pianeta Geron, e i suoi barbari abitanti. Nelle Cronache Marziane di Ray Bradbury, poi, c’è un racconto in cui dei sacerdoti terrestri cercano di portare la Parola fra gli alieni, che hanno la forma di sfere di fuoco.
Sono storie diverse, ma certamente fantascientifiche, e belle. Francisco Miranda, come i sacerdoti di Bradbury, sono ammirevoli nella loro tenacia, e viene naturale partecipare alle loro vicissitudini. Quanto a Dick, il tema della religione fu importante anche nella sua vita personale, e ricorre in altre sue opere. Alcuni critici hanno addirittura dato un’interpretazione in chiave teologica dei suoi lavori.
Insomma, la fantascienza non è letteratura anti-religiosa, almeno non intrinsecamente. Se così fosse, per quanto mi riguarda, non sarebbe letteratura, ma semmai saggistica (i pamphlet a tema possono anche risultare interessanti, ma non sono narrativa).
Concludendo.
I racconti robotici di Isaac Asimov sono ottimi esempi di narrativa breve. Dal punto di vista tecnico costituiscono dei solidi modelli di riferimento. Per l’appassionato (e non) sono letture godibilissime.
Contengono una visione positiva della scienza, della ricerca, della tecnologia, che non è ovviamente l’unica possibile, ma che indica “ideologicamente” una direzione, una strada da seguire per il progresso e la migliore realizzazione dell’Uomo.
Di fatto, questa via è stata già imboccata. Seppure oggi non disponiamo dei robot positronici delle fantasie asimoviane, è fuor di dubbio che la tecnologia ha fatto passi da gigante rispetto agli anni ’40-’50 in cui lo scrittore russo scriveva le sue storie.
La strada della conoscenza, però, è irta di pericoli e resistenze. E le conoscenze oggi disponibili possono domani venir perse, come già è successo in passato. Per questo, Isaac Asimov è una voce da ascoltare e diffondere. Senza alcuna accettazione acritica, ma con la semplice consapevolezza che la ragione e il dubbio (o il libero arbitrio, se preferite…) sono i principali strumenti nelle mani dell’uomo.
Naturalmente, la mia lettura dei racconti robotici è del tutto personale, e perciò criticabile. Queste storie contengono molti altri spunti su cui basare interi altri articoli. Ad esempio, il ruolo della psicologia (la “scienza” di Susan Calvin) per risolvere situazioni critiche.
Come sempre, a far la differenza non è tanto o solo l’ispirazione e il pensiero dell’autore (che non è poco), ma la sensibilità del lettore (ogni testa un libro diverso… anche se il libro è lo stesso!).
Da notare che la magia della scrittura è il tema del racconto “Il correttore di bozze”, in cui un professore universitario si oppone strenuamente all’uso dei robot in ambito editoriale, rivendicando il valore e il piacere dell’umana creazione letteraria, anche nelle fasi oscure della ri-scrittura, della correzione del testo. Alla fine perderà, visto anche il suo comportamento poco ortodosso, ma la stessa Susan Calvin, ascoltate le sue motivazioni, dovrà riconoscere che un po’, almeno un po’, le condivide.
È l’ultimo racconto delle due raccolte, e l’ultimo in ordine di scrittura (1957). Una sorta di omaggio alla professione, fatto da un Asimov ormai scrittore affermato. Una degna e umanissima chiusa per due antologie da non fare impolverare sullo scaffale.
Io, robot, di Isaac Asimov, Oscar Mondadori, pag. 290, euro 8,80
Il secondo libro dei robot, di Isaac Asimov, Oscar Mondadori, pag. 222, euro 8,40