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Intervista con Brandon Sanderson, autore della saga dei Mistborn e ospite d'onore di Lucca Comics & Games 2016
di Antonella Mecenero
[pubblicato su RiLL.it nel novembre 2016]
Brandon Sanderson è un autore che mi piace. È giovane (è nato nel 1975), ma scrive un fantasy maturo. Ha la non comune capacità di sorprendermi: io fiuto molto facilmente i colpi di scena ma, sin dalla fine del primo libro della saga dei Mistborn, ho capito che non avevo la più pallida idea di quello che sarebbe potuto succedere. Anche per questo ho divorato la saga.
Poi ho letto praticamente tutto ciò che di Sanderson è stato tradotto e nulla mi ha mai deluso, ma molto mi ha stupito. Quando prendo in mano un suo libro non so mai cosa aspettarmi: cambiano le atmosfere, le tematiche, le ambientazioni. Non cambia mai, però, l’accuratezza con cui sono descritti mondi e vicende. Lui, più di tutti, negli ultimi anni, ha tenuto desto il mio senso del meraviglioso.
Ormai Sanderson non è più un autore di nicchia o una giovane promessa. Si parla da tempo di trasposizioni cinematografiche o televisive delle sue opere. Tra gli autori sotto i sessant’anni lui e Neil Gaiman sono, per me, il top della narrativa fantastica.
Quindi intervistarlo a Lucca Comics & Games 2016 (festival di cui era uno degli ospiti d'onore) per me è stato un sogno che si è realizzato.
Ci siamo trovati io, lui, l’interprete e Massimiliano Malerba (fotografo, anzi: autore prestato alla fotografia!) a Villa Gioiosa, una bel palazzo liberty di Lucca, con la luce che filtrava dalle finestre dai vetri colorati.
Prima delle mie domande e delle sue risposte, vorrei parlarvi delle impressioni che Sanderson mi ha fatto, da lettrice appassionata e autrice. Naturalmente, potete saltare questa parte e andare dritti all'intervista...
La prima cosa che colpisce in Sanderson è l’umiltà e la gioia di fare quello che fa. È un nerd e non se ne vergogna e vuole dare al lettore esattamente quel che lui cerca: storie, tante storie, che giungano a una conclusione, con una trama non scontata. Che detto così è una banalità. Quale lettore non ama avere tante storie diverse dei suoi autori preferiti, possibilmente che giungano a delle conclusioni?
Ma, nella realtà, quanti autori ci offrono davvero questo?
Sanderson è uno scrittore che pensa da lettore e con molta umiltà scrive per i lettori, probabilmente per il lettore che è in lui. Questo non vuol dire svendersi, tutt’altro: vuol dire lavorare sodo, sapendo di avere un pubblico attento ed esigente, che va trattato con rispetto. Parlando con lui ho percepito la sua consapevolezza di avere il privilegio di fare ciò che ha sempre desiderato fare, e che sono i lettori a permetterlo. Quindi i lettori vanno rispettati. Non assecondati, attenzione, ma rispettati.
Che Sanderson fosse un gran lavoratore lo sapevo già, ma intervistandolo ne ho avuto conferma. La scrittura per lui è un lavoro certosino.
C’è una serie di suoi romanzi, quella dei degli Eliminatori (composta dai romanzi Steelheart, Firefight e Calamity), che è ambientata in Stati Uniti sconvolti dall’apparire di supereroi folli che hanno modificato completamente l’economia e la geografia delle città. Per costruire quelle città mutate Sanderson è partito dallo studio delle cartine reali e della storia di quelle città, dando così alla sua New York allagata o alla sua Atlanta fatta di sale un realismo e una consistenza unica.
Un’idea può basarsi su un “semplice” e se?, ma un romanzo ha bisogno di un lavoro di costruzione e di studio. Non c’è nulla di improvvisato in quello che fa. Ho visto i disegni del suo universo e il bozzetto di un giornale di uno dei suoi mondi alternativi. Non c’è un particolare fuori posto.
Inoltre, Sanderson sa esattamente cosa vuole fare.
Abbiamo parlato un po’ dell’evoluzione della saga dei Mistborn, solo parzialmente tradotta in Italia. Ora, sarebbe facile riproporre ai lettori cose note (gli stessi personaggi, ambientazioni, situazioni...). Ci sono autori che sono campati (o stanno campando) una vita facendo questo lavoro, per la gioia dei loro editori. Lui invece vuole mostrare mondi in evoluzione, per realizzare qualcosa di totalmente inedito nel panorama della letteratura fantastica (cosa? Lo scoprirete leggendo l’intervista!).
Ci vuole una gran determinazione e una gran fiducia nei propri lettori per fare una cosa del genere. Mi immagino il suo editore, a chiedergli mille volte se è proprio sicuro, se non sarebbe meglio far tornare in campo i personaggi dei primi libri... Eppure è questa la chiave del suo successo, credo: Sanderson non vuole essere l’emulo di nessuno, anche se i suoi riferimenti letterari li ha ben chiari in testa. È emerso come autore negli USA perché ha portato qualcosa di nuovo e continua (vuole continuare) a farlo. Si rivolge a lettori pronti a stupirsi e a innamorarsi di nuove storie, non a lettori cui piace essere “rassicurati” da personaggi già conosciuti.
C’è una bella dose di rischio in questo. Eppure non è quello che davvero chiediamo a un autore?
Infine, Sanderson mi ha sorpreso perché mi è sembrato un ragazzo buono, che fa quello che ama, vede il mondo per quello che è, ma ha un’intelligenza non venata da cinismo.
Ho pensato che è fatto della pasta dei suoi eroi. Che non si illudono e non sono perfetti. Che spesso e volentieri sbagliano. Ma alla fine sono profondamente buoni, almeno nelle intenzioni.
Nei suoi romanzi ci sono spesso storie di riscatto, e credo che ci sia molto di autobiografico. Me lo immagino adolescente, nerd e tutt’altro che sportivo, magari con genitori preoccupati per il suo futuro, ma con una fiducia nelle proprie possibilità che alla fine è stata più che ripagata.
È difficile, chiacchierando con lui, non pensare ai suoi personaggi, che partono sempre dal basso, eppure sono mossi da una fiducia che viene sfidata e messa alla prova, ma il più delle volte alla fine si rivela vincente.
Dall’intervista sono uscita anche con una gran voglia di scrivere e di non darmi mai per vinta.
Sanderson aveva dodici romanzi nel cassetto, quando pubblicò il primo. Non uno, non due, non tre. Dodici. Di questi dodici, parecchi ora hanno visto la luce (il che spiega anche la sua apparente inumana velocità di scrittura: si era portato avanti col lavoro). Quindi chissenefrega se qualcosa rimane nel cassetto. C’è sempre la speranza che ne esca.
Ma veniamo all’intervista vera e propria…
Quando prendiamo in mano un libro di un autore che conosciamo, di solito sappiamo cosa aspettarci a livello di ambientazione e temi ricorrenti. Con te no, ogni volta è una sorpresa. Si può passare dal fantasy classico ai supereroi, così come a storie quasi steampunk. Come mai?
Probabilmente perché non viene tutto da una fonte. Anzi, tutto per me è fonte d’ispirazione. Spesso leggendo un libro o un fumetto vorrei far andare la vicenda in modo diverso, magari nel modo esattamente opposto rispetto a come ha fatto l’autore e da lì mi viene l’idea per una storia. Oppure arriva uno spunto dalle persone che incontro. Per me ogni cosa (film, fumetti, persone...) è fonte d’ispirazione e mi fa chiedere “e se..?”.
Inoltre, quando finisco di lavorare a un libro sento l’esigenza di scrivere qualcosa di totalmente diverso, perché altrimenti avrei l’impressione di esaurire le energie in un solo progetto. È come quando durante un pasto si prende un chicco d’uva o un po’ di formaggio per cambiarsi la bocca.
I tuoi mondi sono davvero molto curati: ai lettori salta subito all’occhio la magia, di cui hai già parlato molto, ma in realtà tutto è definito con precisione (istituzioni, biologia...), quindi sono curiosa di sapere come lavori sul setting dei mondi, anche sulla parte che non appare immediatamente alla vista.
Gli autori fantasy hanno bisogno di sapere un po’ di tutto per essere credibili, per avere una base di informazioni su cui costruire i propri mondi. Io leggo moltissimo, guardo tanti film e spazio in molti media e molti argomenti. Per un autore o un artista fantasy è fondamentale capire che tutto è connesso. Quando incominci ad avere una buona base per la religione, l’economia, la politica, la magia e riesci a intrecciare tutto, allora riesci a rendere il quadro credibile.
Nel Medioevo europeo la superstizione, la religione e la politica non erano separati, erano interconnessi e creavano un’unica cultura da cui sono scaturiti ad esempio i bestiari e un immaginario ben definito. La politica e l’economia, in particolare, dicevano dove andavano quei paesi e dove andava la loro storia.
Quando hai creato qualcosa di simile puoi delineare un mondo credibile, in cui il lettore può riconoscersi. Uno dei migliori esempi di connessione di questi fattori è Dune. Secondo me è il miglior romanzo di fantascienza che sia mai stato scritto perché tutti gli elementi dell'ambientazione si fondono creando un insieme ben definito.
Alcune delle tue storie sono legate dal Cosmoverso. Ci spieghi di cosa si tratta?
Il Cosmoverso, che lega alcune delle mie storie, non è un multiverso, come quello creato da Michael Moorcock, che pure amo molto. Si tratta invece di una galassia nana in cui ci sono circa settecento milioni di stelle; i racconti del Cosmoverso (la serie dei Mistborn, Elantris, Il Conciliatore e le Cronache della Folgoluce) sono ambientati in pianeti di questa galassia e hanno una loro coerenza interna. Mi aiuto nella creazione delle mie storie con tavole e disegni come questo (vedi sotto, NdR), che è ispirato all’arte medioevale europea. Assomiglia vagamente al mondo dantesco, ma qui ci sono i pianeti in cui sono ambientate le varie storie del Cosmoverso.
Nella trilogia degli Eliminatori, invece, ci sono universi paralleli... sembra quasi che un’unica realtà narrativa ti stia stretta!
Quella serie è ispirata ai film d’azione e ai fumetti sui supereroi; per giustificare la presenza di diversi elementi utilizzo la teoria degli universi paralleli, che è molto comune nei comics e nei film collegati. Inoltre si adattava a ciò che volevo narrare, mostrando diverse evoluzioni di una stessa storia. Questo avviene anche in alcune storie della Marvel che hanno ispirato la genesi di questa serie.
Se potessi andare in vacanza in uno dei tuoi mondi, quale vorresti visitare?
Sceglierei il mondo dei Mistborn, perché è un mondo in evoluzione. La prima trilogia ha un’ambientazione epic fantasy, ma poi si evolve e il quarto romanzo è ambientato trecento anni dopo. In quel romanzo ormai c'è stata la rivoluzione industriale, la tecnologia ricorda quella del XIX secolo, c’è l’elettricità... e io amo le comodità e il poter usare l’elettricità. Quindi, se dovessi scegliere un mondo da visitare, sceglierei quello, ma solo a partire dal romanzo La legge delle Lande.
Come lettrice sono stata stupita da questa evoluzione avvenuta nel mondo dei Mistborn. Puoi parlarcene meglio?
Molti altri universi fantasy non progrediscono, ma io volevo far evolvere insieme magia e tecnologia e raccontare come l’una influenzi l’altra. Sarei curioso di vedere come il fantasy e la magia potrebbero influenzare la religione e la tecnologia. Quindi ho pensato di seguire questa evoluzione dalle origini in avanti, nel mondo dei Mistborn.
Quindi l’evoluzione non è terminata, nel mondo dei Mistborn?
No, non è terminata. Ho quasi finito una parte che è ambientata in una situazione che ricorda gli anni ‘20 del XX secolo. Ci sarà una storia di spionaggio in una sorta di guerra fredda, però con la magia. Diversi paesi cercheranno di scoprire come funziona la magia quantica.
Con questa opera, quindi, cadranno le differenze tra fantasy e fantascienza... “solo” fantastico allo stato puro!
Sì. Del resto, sia Dune che Guerre Stellari hanno l’aspirazione di mescolare fantasy e fantascienza.
Io però non prendo il mondo per dato, ma voglio seguirne l’evoluzione, capire come un mondo arriva a un certo punto e il mio obiettivo è arrivare al momento in cui il fantasy si trasformi in fantascienza. Al contrario di altri autori a me piace scrivere, terminare romanzi e progetti sempre nuovi, e quindi spero di vedere i risultati dell’evoluzione dei miei mondi.
Un’ultima domanda: nelle tue ultime opere è molto importante l'aspetto grafico. Mi riferisco al fatto che non solo le mappe, ma anche tavole e decorazioni sono parte integrante della storia. È una scelta dovuta al desiderio di valorizzare l’oggetto libro? Che importanza riveste l'elemento grafico nel tuo lavoro?
Lavorare anche con le immagini è stata una mia scelta e mi piace il modo il cui le immagini possono aiutare a veicolare la storia. Le parole possono diventare immagini e mescolarsi insieme in modo efficace, rendendo più reale il mio mondo agli occhi del lettore. Mi piace molto quando ci sono diverse arti che si mischiano e creano un prodotto diverso rispetto al lavoro di un singolo artista. È come se i mondi diventassero veri, quindi tutta la parte grafica e illustrativa diventa parte integrante delle storie. Amo molto questo aspetto anche per il valore aggiunto che dà al libro. Ad esempio, tutti ricordiamo la mappa inclusa nelle vecchie edizioni de Il Signore degli Anelli: era qualcosa di unico, che caratterizzava moltissimo il romanzo. Si poteva aprire e usare e rendeva reale la Terra di Mezzo. Tolkien stesso la usava per definire ed entrare nel proprio mondo.
Per la nuova storia dell’universo dei Mistborn ho fatto preparare una pagina di giornale in stile art déco da includere nel libro, in modo che aiuti sia me che il lettore a percepire come vero il mondo e la sua storia.
(le foto a corredo di questo articolo sono tutte di Massimiliano Malerba)