Testimonianza

di Alessandro Negrini
Quarto classificato al III Trofeo RiLL

Che io abbia incontrato in questa notte infausta l'assassino del barone Terenzio non è stato che un caso, e chiunque tra i presenti potrebbe concordare con la mia opinione.
Ciononostante, non riesco a fugare la convinzione che esista un'occulta ragione, e non soltanto un crudele intreccio di coincidenze, dietro alla decisione del carnefice del nostro ospite di mostrarsi proprio a me, e non ad altri.
Come voi tutti ben sapete, amici miei, nello stesso momento in cui il povero Signore di Maira moriva in un modo così orribile, la mia indole malinconica m'aveva spinto ad abbandonare le luci e le sfrenatezze del banchetto celebrato nella Sala degli Scudi per trovare pace e silenzio nelle mie stanze e godere dello spettacolo del crepuscolo violaceo sfumato nel nero del cielo nuvoloso.
Ero ancora affacciato al balcone, con lo sguardo perso nella bellezza morente delle Terre Grige, quando voi decideste di andare alla ricerca del barone, scomparso a metà dei festeggiamenti.
Godevo l'aria tiepida della sera mescolata all'intenso profumo delle orchidee d'Ivoria, mentre voi v'affrettavate lungo i sentieri del parco, pregando che il guanto sporco di sangue caduto nella fontana facesse parte d'uno dei macabri e complicati scherzi tanto amati da Terenzio.
Le prime gocce di pioggia si raccoglievano opache nel mio bicchiere vuoto, e le mie mani stringevano ancora il collo della bottiglia dell'assenzio, quando le vostre urla squarciarono il cielo, accompagnate dallo schianto dei fulmini.
Solo allora mi voltai, in uno scatto improvviso dei miei nervi malati, e vidi, lambito dalla luce tremante dell'unico braciere acceso, l'artefice dell'abominio, dell'orrore che vi aveva accolti nella cripta maggiore.
Lo vidi, vi dico, ed era fermo davanti a quella porta spalancata, immobile.
Teneva la testa reclinata sul petto, quasi fosse estremamente stanco, incurante del mio terrore.
In un silenzio soffocante, levò il suo sguardo su di me, ed io temetti d'impazzire al cospetto della fredda follia che animava quegli occhi azzurri, luminosi come il cielo di luglio.
I suoi ricchi vestiti di velluto nero erano sporchi della terra grassa del cimitero oltre il frutteto, le sue mani bianche e sottili tormentavano il manico d'argento d'un rasoio lordo di sangue e, tuttavia, il suo viso appena spruzzato di pioggia era atteggiato ad un sorriso empio che accentuava la nobiltà dei suoi tratti, alterati da un'ilarità a stento trattenuta.
Lo vidi, a pochi passi da me, oltre quella soglia, vidi i rubini del suo medaglione brillare incerti, vidi piccole gocce scarlatte andare ad ornare il marmo rosa del pavimento.
Ma erano i suoi occhi le gemme più brillanti, due zaffiri roventi che continuarono a fissarmi, anche quando il vento furente aveva ormai spento il fuoco, affogandoci in un'oscurità viscosa.
Continuarono a bruciarmi l'anima anche quando svenni, anche mentre cadevo inerte sul tappeto.
Non chiedetemi perchè il demone sorridente non abbia voluto attraversare la porta per trascinarmi con sè, perchè, prima di fuggire assieme agli incubi che popolano la notte, m'abbia lasciato in dono la lama con cui aveva saziato il suo appetito. Non possiedo nessuna delle risposte che voi cercate.
Quando il sole era già alto sopra i colli coperti d'erica, mi svegliai steso fra le schegge del mio bicchiere rotto e la cenere del braciere rovesciato, sfinito come dopo aver trascorso l'intera notte nei piaceri osceni che tante volte il barone ci ha offerto nella Sala dei Veli. Appena ne fui in grado, mi levai in piedi e scesi nel salone nero, dove m'avete subito raggiunto, avvertiti dai servitori.

Ora che credo sappiate tutto di quanto è accaduto, mi auguro che possiate decidere riguardo alla mia sorte con la massima serenità, ben sapendo che l'affetto che mi legava al barone m'impedirà d'oppormi in alcun modo alle vostre scelte.
Se questo significa che dovrò pendere dalla forca, pazienza. Queste non sono cose tali da preoccupare un figlio delle Terre Grige, o sbaglio? E, del resto, non so come si possa ignorare l'evidenza. Come voi stessi m'avete fatto notare, quella che v'ho indicato stamane, ansioso di mostravi il teatro della mia terribile esperienza, non è affatto una porta.
Quello è uno specchio.


Alessandro Negrini, nato a Milano nel 1975, vive in quel di Legnano con una moglie adorabile e una masnada di gatti che non lo sono affatto, pur compensando in fusa e fascino.
Laureato in Ingegneria Meccanica, è un libero professionista attivo nel campo dell’impiantistica industriale e della sicurezza occupazionale. Inoltre, è anche un noioso docente a contratto, ma il pensiero che persino Isaac Asimov sia stato un accademico gli è di gran conforto, a questo riguardo.
Bibliofilo veterano, ha seri problemi nel trovare nuovo spazio in casa per tutti i volumi dei suoi  autori prediletti, mosso dal malcelato intento di emulare la collezione (reale) di Umberto Eco nonché quella (fittizia) del Prof. Martin Jacques Mystère.
Ha partecipato più volte al Trofeo RiLL, di cui ha vinto la seconda edizione (con "La Voce di Arion") e la quarta edizione (con “Il processo”). Con “Testimonianza”, poi, è arrivato quarto al III Trofeo RiLL, nel 1997.
(biografia aggiornata al settembre 2024)

Leggi l'intervista ad Alessandro Negrini realizzata in occasione del trentennale del Trofeo RiLL.



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