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di Paola Urbani ed Emanuele Viola
Vincitore del XIII Trofeo RiLL
[racconto presente nell'antologia Schegge di Mondi Incantati, Nexus Editrice, 2007]
Ventidue lettere fondamentali: Egli le ha scolpite, forgiate, pesate,
e con esse ha formato l’anima dell’intera creazione.
dal "Libro della creazione" (Sefer Yetzirah)
9 settembre
Dannate formule, le brucerei. Questa, per esempio: µpq ≤ מ*ש.
Senza una riga di spiegazione! Che vorrà mai dire? Se non le avesse scritte proprio lui, Abel Vikernes, il genio della nuova matematica, ora non sarei su questa corriera diretta a Trondheim con una grande smania di muovere le gambe rattrappite e contorte come מ, lo schienale sfondato che mi si pianta tra le costole come ש. Nebbia fuori e dentro. Un tampone di ovatta in gola, cerotti sugli occhi. Ma decifrare la nebbia è la mia grande occasione.
Non ho mai incontrato Vikernes, ma la sua fama è immensa: egli ha rivoluzionato la crittografia. La scienza della comunicazione segreta ora va ben oltre la semplice codifica di messaggi; è diventata essa stessa passione, carne e sangue. I simboli matematici - così inizia il suo Codice Yetzirah - non sono mere astrazioni: possono creare o togliere la vita.
Il mondo della ricerca si è spaccato in due: secondo la prestigiosa rivista Crypto egli ha svelato le intime connivenze tra razionale e reale; per altri invece ha codificato la superstizione nelle radici marce della matematica. Che dire? Intanto io vago per le sei pagine del suo codice come l’esploratore cieco di un meraviglioso, o velenoso, atollo.
Ah, Julia; lo devo a te questo viaggio, nel bene e nel male. Immeritato, certo: andarmene così, proprio quando la tua mente era in declino. Ma è stato più forte di me: non riuscivo a sopportarlo. Le filastrocche, quella tua voce puerile…
“Quarantaquattro gatti in fila per tre col resto di nove.” Ti piaceva ripeterlo all’infinito, e mi perseguita ancora. Proprio tu, la mia maestra di matematica superiore, regredita a uno stadio infantile, che ride a sproposito, che balbetta stupidaggini:
“Con il parallelogramma dialogare è sempre un dramma.”
Basta: su questa corriera dura e traballante, cerco di concentrarmi su Yetzirah, e ancora una volta abbocco all'esca delle lettere romane, sono sedotto dalle greche, tradito dalle ebraiche e infine mi perdo nel cimitero dei trafitti simboli vichinghi: a+b - ξ [ב] = || Ø || / Đ. Maledizione!
L’autista blatera un nome strascicato, incomprensibile. Trondheim, forse: mi scaglio fuori. Sono l’unico a scendere e la corriera riparte subito a porte aperte. Simil-cipressi galleggiano nel grigio; temperatura meno due gradi. Un casotto livido con due panche per l’attesa, un distributore di acqua e noccioline. Un tizio ripiegato a uncino, con una ramazza in mano, finge di scopare il pavimento a quadri grigi e neri.
“Per favore, puoi indicarmi la strada per il Centro Sephirot, a Trondheim?”
Si raddrizza esibendo una macchia violacea sulla bocca, poi alza il gomito in una direzione imprecisata tra gli stecchi di alberi.
“Vuoi dire che di là” insisto io c’è una strada?”
Col suo indice ricurvo segna le coordinate con una croce sulla nebbia.
12 settembre
Non posso credere che sia lui l’autore del Codice Yetzirah, di quel testo nebuloso e indomabile. Dimostra non più di trentacinque anni e sembra un attore: abbronzato, biondo, alto, robusto. Nessun guizzo negli occhi… mai visto un matematico simile.
“Permesso, professor Vikernes?”
“Salve Bruno! Chiamami Abel, o mi sento vecchio. Hai visto che sole stamattina? Del resto è il tempo migliore” scherza “per noi crittografi…”
Parla la mia lingua, perfettamente.
Anche il suo ufficio mi stupisce, niente computer, nessuno di quei nuovi libri di matematica plastificati che odorano di colla chimica, solo vecchi volumi divelti, stampe dappertutto, e uno strano oggetto accanto alla lavagna: due cerchi uno dentro l’altro, con l’alfabeto intarsiato sopra.
“Autentico!” esclama. “Il cifrario di Cesare.” Emana energia e un sottile, contagioso, entusiasmo.
Mi porta a fare un giro per Sephirot. È una costruzione modesta, cinque lati di mattoni color ruggine, con tre torri e in mezzo un sorbo selvatico con qualche residua bacca rosso sangue. Tra la nebbia scorgo una sagoma che zoppica; da vicino sembra il matematico Rasputin, scopritore delle equazioni zayin: stesso aspetto selvatico, unghie lunghe, capelluto.
“È il portiere” risponde Vikernes al mio sguardo interrogativo. Poi saliamo in archivio, uno stanzone al primo piano, senza finestre, il pavimento ricoperto di fascicoli esplosi, cataste di polvere contro cataste di carta, luce che va e viene; inciampo.
“C’è un po’ di disordine. Il fatto è che per l’archivio manca il personale specializzato” ride e strizza l’occhio. “Intendo i senza-cervello.”
Ha il fiato grosso, ansimante; come, per aver fatto soltanto un piano?
Poi, mentre mi accompagna in macchina al mio alloggio, alla fine della strada che costeggia il fiordo, mi rivolge le domande che temevo. Julia come sta? Che dicono i medici? Era un genio, sai, un vero genio della matematica. La mia prima allieva, la migliore. Lo scheletro di Yetzirah l'abbiamo costruito insieme, insieme abbiamo crittografato i primi testi, tra prove ed errori, quanti errori allora… E adesso, che fa?
Seduta al banchetto dei bambini, Julia fa le somme. Due più due più due più due. “Hai visto come sono brava?” Bravissima. Julia. Non capivi più la matematica eppure quando ho confessato che ti lasciavo - al riparo di un mazzo enorme di fiori bianchi - già lo sapevi. I miei gigli si nascondevano nelle pareti della clinica, anch’essi provavano vergogna, ma tu sorridevi. Mi avevi perdonato. Con la penna che ti diventava molle tra le dita, con le parole che si aggrovigliavano e si urtavano come un esercito scarmigliato, in disfatta, scrivevi a Vikernes, perché mi accogliesse al Centro Sephirot. In piedi, rigido in quella fredda luce gialla, esultavo e mi detestavo, anch’io senza parole. Tu mi stringevi forte in un abbraccio che non sono riuscito a ricambiare.
24 settembre
Chiaro solo nell’aggressività, estroverso solo per colpire, il mio compagno di ufficio Chen era il tipico Stakanov del calcolo made in China. Un esercito ai collaudi di analisi, esecutori spietati di algoritmi da manuale. Io e Chen abitavamo nello stesso edificio, facevamo insieme tutte le mattine i ventidue chilometri fino al Centro in bicicletta, e non eravamo amici. Parlava pochissimo, in un inglese fuori fase, ipersintetico, carico di violenza repressa.
“Su cosa stai lavorando?”
“Sugli stramaledetti aleph.”
Ne sapevo qualcosa: insiemi infiniti, studiati da grandi come Cantor e Gödel. Ci riprovo: “Ma è vero che il professore ha lavorato con Gödel?”
La cosa non mi tornava, con gli anni.
“All’ultimo, ma che ti frega?”
“Come, quando era diventato pazzo?”
Accelerando la pedalata, Chen mi lasciò indietro. Mi lanciai all’inseguimento, sudavo, la nebbia si era coagulata in un’afa pesante che tagliava il fiato. Come a Gödel che d’estate usciva col cappotto, il cuore mi si squagliava in petto; ma Chen come faceva? Una potenza muscolare straordinaria, chiaro. Altrettanto chiaro era che non gli andava di parlare con me. Del resto l’ambiente non è dei più cordiali: quindici giorni che sono al Sephirot e questo è il dialogo più lungo avuto con un altro studente.
Per fortuna ho un ottimo rapporto col professore. Lavoriamo insieme su Yetzirah, sul simbolo ש, shin. Anche se non capisco, lui mi incoraggia:
“Dai, Bruno, pronti per la scalata!”
Eccomi: attrezzo le prime definizioni con tenacia, mi arrampico sui primi lemmi, e quindi intravedo i picchi fondamentali dei teoremi, la vetta da conquistare è שש... ma perdo la presa, la piccozza rimbalza sulla parete gelata: non penetro la dimostrazione, annaspo, precipito…
Io uno studente così lo butterei fuori a calci.
“Ottimo, Bruno, fai progressi, vedo.” Nessuna ironia nella sua voce.
Dopo la scalata fallita incontro Chen al campo base. Lo affronto con un sorriso: “Non ci capisco un tubo di Yetzirah. E tu?”
Non reagisce; provo filosofico: “Che dici, può un testo sulla crittografia, sull’arte di cifrare i messaggi, essere esso stesso indecifrabile?”
Chen stacca una bacca ammaccata dal sorbo e la lancia lontano, poi le va dietro come un cane che rincorre una palla. Sembra sia stato svuotato della dose minima di cordialità che dovrebbe essere appannaggio per legge di ogni essere umano.
12 ottobre
Tanto nebuloso Yetzirah, tanto cristallino il seminario del professore sui grafi planari. Sono arrivato puntuale ma di fatto in ritardo: la sala è strapiena e sto in piedi schiacciato contro il muro. Vikernes parla per un’ora e mezza di fila, senza microfono. La voce, nitida, vibrante, trasporta con sé le immagini dei grafi come imbarcazioni lisce, ben distanziate, rapide e leggere sull’onda di un fiume incantato. Finché all’improvviso la corrente si annoda, le imbarcazioni si aggrovigliano, un gorgo buca il fiume, il dito puntato di uno studente, una voce senza voce, una catena che si attorciglia a un ingranaggio difettoso prima di incastrarsi su un’obiezione ridicola:
“Ma lì mi pare che si incrociano.”
Da fulminarlo.
“Ottima osservazione, Adam.” Il professore rispiega, tranquillo. Ammirevole.
Quello insiste: “Tutti i suoi grafi si incrociano, professore.”
Chi è l’idiota? Guadagno qualche centimetro per vederlo in faccia. Seduto, ancora col dito ricurvo alzato, riconosco il tizio con la macchia viola sulla bocca che avevo visto il giorno del mio arrivo. Un matematico, vengo a sapere, celebre per i grafi bet su cui aveva lavorato in gioventù, prima di perdere la voce e l’ingegno per un’infezione alle corde vocali.
All’uscita me lo trovo davanti. Anche lui mi riconosce e mi avvolge di acredine:
"Ah, eccoti qua” raschia e ringhia la sua voce. "Auguri.”
Peggio, molto peggio di una maledizione.
21 ottobre
In questi giorni il Centro è in fermento perché Chen e il professore hanno ottenuto un risultato fenomenale. Hanno dimostrato una profezia pronunciata da Gödel in punto di morte: che l'universo ha cardinalità aleph due. Ho in mano l'articolo, firmato da entrambi: la C minuscola di Chen quasi scompare risucchiata dalla spirale della V di Vikernes. Eppure... lui ce l'ha fatta.
E io? Che sto facendo io? Sono affascinato da Yetzirah, ma nello stesso tempo lo odio. Ripenso a Julia quando mi portava sulle colline a osservare Venere, e diceva: “Guarda: la stella del mattino e quella della sera sono la stessa stella. Come l'odio e l'amore.”
Il professore, lui non si preoccupa. Arriverà il mio momento, dice.
La mattina dopo mi congratulo con Chen. Come sempre, andiamo al Sephirot in bicicletta, uno accanto all’altro, in silenzio, nella strada che costeggia il fiordo.
“Complimenti, sai.”
Neanche risponde, concentrato sui pedali. Ma forse è il momento giusto per tentare di capirci qualcosa. Insisto: “Come hai superato la barriera di Poincaré?”
Chen non stacca lo sguardo da terra, si mette una mano sul petto. Sembra soffrire mentre, con una smorfia, sibila: א > א/א. Non ha senso. Come non ha senso quel che accade dopo.
Chen che rallenta, ondeggia, perde il controllo, cade. Si accartoccia sul suo stesso petto. Butto la bici a terra, mi chino addosso a lui. Stai male? Ancora un soffio dalla bocca di Chen. La sirena di un’ambulanza che non ho chiamato.
2 novembre
Siamo invitati a casa del professore. La facciata principale, in legno, in stile coloniale del New England, con un piccolo portico oltre i gradini, assomiglia alla villetta di Boston dove ho passato un mese con Julia, durante il convegno di combinatorica.
Ero uno studente del primo anno, senza un soldo e nemmeno brillante, ma lei aveva scelto me: tra noi era nato un patto segreto di affetto, forse d'amore. Ogni mattina la scala a chiocciola scricchiolava e ci inebriava un profumo di pioggia notturna filtrata dal legno; attraversavamo lo Yard fino al dipartimento di matematica. Il freddo improvviso aveva ghiacciato le foglie in ciuffi fucsia e gialli. Tu ne staccavi una, Julia, e la riponevi tra pagine di cellulosa riciclata. La sera me ne avresti narrato la fillotassi, irrorando le piccole vene con la fiamma di una candela.
E io non ti ho scritto ancora…
La casa di Vikernes è adorna di stelle filanti, angioletti gonfi d’elio, ghirlande di carta: la festa è in onore di Chen. Dopo l’infarto e una settimana in rianimazione, adesso lui sta da loro, che se ne prendono cura come fosse un figlio. È lui che accoglie gli ospiti con un gran sorriso. Ma l’aspetto è miserevole, la testa gli cade di lato: è in sedia a rotelle.
“Mi dispiace, davvero.”
Chen tira su la testa con un guizzo, e abbassa gli occhi su di me. Sì, anche dal basso, mi scocca uno sguardo altezzoso, da matematica superiore.
Il professore è in gran forma. Ci porta su per le scale al primo piano, sollevando da solo la carrozzina di Chen prima che io possa aiutarlo. Da lì si vede la piramide illuminata di Sephirot, e c’è il suo piccolo osservatorio puntato su Venere. Sulla parete di fronte un quadro ritrae due uomini in abiti rinascimentali, accanto a un tavolo con antichi strumenti scientifici. Mi sposto di lato e vedo in basso a destra il teschio.
“Holbein” fa lui. “Il noto crittografo.”
Una donna dai colori smorti, che sembra staccarsi dal quadro, gli si profila accanto.
“Christina, luce della mia vita” dice con tenerezza Vikernes “e mia più stretta collaboratrice.” Le circonda con un braccio le magre spalle: “Raccontale della nostra ricerca, Bruno.”
Christina ha i capelli radi e stopposi, le ossa che quasi le bucano la pelle sottilissima ma flaccida del viso: un altro teschio. Resto colpito dal suo aspetto cupo; non so che dire:
“Suo marito è una persona straordinaria. Con noi studenti è così disponibile, generoso.”
“Sì” dice lei, anche la voce è penosa, scordata. “Lui dà molto. Ma prende tutto.”
9 novembre
Più studio, e meno afferro Yetzirah. Oggi non potevo trattenermi:
“Abel, non riesco proprio a capire qual è il punto centrale del Codice.”
“Scherzi?” Il professore ha un energico sorriso. “Il nucleo è questo, non vedi?” e mi indica un’equazione: אεδ = 2.
“Ah, ecco.” La voce mi esce quasi in un gemito.
Curioso, lui appare contento persino della mia incredulità, come se l’occasione di spiegarmi fosse il regalo divino di infondere fede in uno scettico. E infatti, questo accade: mentre parla con quella sua voce ipnotica, vedo anche io: gli aleph di Chen, i grafi bet di Adam, il mio shin, tutto forma la piramide di Yetzirah, e il vertice lo tengo in pugno. Posso scendere giù blocco per blocco, ispezionarne le fenditure, verificarne le necessità, piantare nella struttura compatta atomi logici. Mi porta nella terra promessa, attraverso un'aria chiara. Divento io il creatore stesso del Codice Yetzirah.
“Guarda, Bruno, ci resta solo da risolvere l'equazione שש = ?”
“Sì” annuisco convinto. “Ci siamo.” Combinati in una danza tridimensionale, i simboli sembrano volersi confidare con me in un sussurro. Questa sera, a casa, ci lavorerò ancora.
Da solo, però, è tutt’altra faccenda. Una pioggia fitta batte sul vetro, facendosi largo nella nebbia: mi penetra nelle ossa con dolore, come l’ultimo ricordo di Julia. I simboli ora giacciono inerti sul foglio: minacciose, recalcitranti presenze. Chi mi autorizzava, inesperto demiurgo, a manipolarli, a far loro violenza? Perché avrebbero dovuto rivelare proprio a me il loro potere? Cosa ne sapevo, io, di Yetzirah?
All’alba provo a raggiungere la città più vicina: impossibile. Due ore, e neanche l’ombra di una corriera. Il tabellone in norvegese è cancellato dalla nebbia. A chi chiedere? Alla fermata fantasma, con un secchio in mano, c’è Adam. Rantola soddisfatto: “La corriera non ha orario.”
Forse non dovrei più lavorare con Vikernes. Forse potrei tornare da te, Julia, se mi vuoi ancora.
12 novembre
Ho saputo che il portiere zoppo è proprio il matematico Rasputin, straconosciuto per la sua equazione zayin. Con un mazzo di chiavi che gli pende dalla cintura, la notte trascina la gamba destra in giro per il Centro, a controllare che non ci siano estranei e ad attaccar discorso con qualche studente; ma, di matematica, non ha più nulla da dire.
A mezzanotte, quando ho sentito bussare, pensavo fosse lui e stavo per mandarlo al diavolo. Invece era il professore, rosso in viso.
“Alzati, e guarda!”, ha un pezzo di gesso in mano e scrive sul muro grigio, in caratteri enormi:
שש = - ש!!!!
Non capisco, abbozzo uno storto sorriso.
“L’equazione è stata risolta da Julia” spiega Vikernes. “Un miracolo. L’ultimo, inaspettato, scintillante regalo della sua prodigiosa intelligenza.”
Ha con sé l' articolo finito, e ha fretta, una dannata fretta, di farmelo vedere.
Avrei bisogno di tempo, di mettere i pantaloni sopra il pigiama, di forzare le palpebre, semi-paralizzate dal sonnifero, a schiudersi come le valve di un mollusco esposto al fuoco, ma lui mi tira per un braccio, mi trascina allo scrittoio, mi infila una penna a china in mano:
“Firma qui, Bruno.”
Firmare cosa? Vecchie formule con shin che non ho mai capito, altre mai viste; tutto incomprensibile. La penna mi si piega tra le dita.
“Ma... io non ho fatto quasi niente. Il merito non è mio, tu mi hai spiegato Yetzirah, l’equazione finale l’ha risolta Julia: l'articolo è vostro.”
“Scherzi? È roba tua.”
Sembra offeso, ma io esito ancora. Anzi, sono sempre più deciso a rifiutare.
Con uno scatto Vikernes va a chiudere la porta, spalancata dall’entusiasmo: la maniglia sembra scrostarsi per la sua troppo vigorosa stretta. Mi posa una mano, bollente, sulla spalla, la sua voce sussurrata ha l’intensità di un grido:
“Tu non capisci! Julia lo vuole. Sta per morire, e il suo ultimo desiderio è che tu firmi questo articolo insieme a lei, affinché i vostri due nomi restino uniti per sempre. Io sono felice di farle questo regalo, e rinuncio a firmare. E tu?”
Mi si chiude la gola; l’ampio paraffo della firma di Julia sembra l’ultimo l’abbraccio di quando già sapeva che mi avrebbe perso; forse sono ancora in tempo a farmi perdonare? La mia firma piccola e sottile si rifugia come in un nido in quelle morbide volute.
“La matematica è ardua” sorride Vikernes “ma non è crudele.”
13 novembre
[ΨШ]! = |C’| : vuol dire bastardi.
¥ | B >> ¥ / W! >> ШB : vuol dire che la pagherete.
Le capisci queste formule, professore? E tu, Julia? Ho scoperto il vostro segreto. La soluzione è venuta come uno squarcio, un assalto al pensiero. L'articolo di Chen mi si è spalancato davanti, mi ha mostrato le viscere. Ho infilato le mani tremanti nelle fauci del leone. Ho applicato il Codice Yetzirah a sé stesso: l'ho decifrato.
Forse con il diavolo, forse con un suo malefico servitore, Chen aveva firmato un patto:
"In piedi al centro del pentagono K5, protetto dal cerchio secondo il rituale di Kuratowski, a te Signore delle tenebre, a te Re del nulla, a te che sai far ruggire la terra e tremare il cielo e prosciugarsi il mare, io Chen chiedo di accettare questo scambio."
E poi il finale: "Con questo accordo sottoscritto davanti al Dragone io cedo al mio maestro Abel Vikernes, in cambio della fama matematica, la lettera aleph e tutto ciò che ad essa è legato."
In basso, le firme di Chen e di Vikernes, l'una dentro l'altra…
Aleph? Ma cosa…?
Inforco la bici e mi scaglio verso il Centro, forzando sui pedali, col manubrio che sguscia tra i pugni. Sparato tra la nebbia, passo lungo il fiordo dove Chen era stramazzato faccia a terra. Rivedo il professore che non riusciva a salire un piano di scale, e poi solleva la carrozzina di Chen come un fuscello. Maledetto!
Poteva mai essere che, firmando l'articolo sugli aleph, Chen gli avesse consegnato il suo cuore? Solco rabbioso il telo bagnato della nebbia che mi sferza il viso con scherno. Si profila indistinta la sagoma delle tre torri, o sono soltanto ombre? E il sorbo dov'è, per orientarmi? Non riconosco la strada; Vikernes, dove sei che devo ucciderti?
Mi rimbomba in testa la sua voce: sonora, profonda, oltre le barriere di ogni spazio. Poi la catena della bici stride, si inceppa, geme dell'afono singulto di Adam. Risento la voce senz'anima dell'autore dei grafi bet. Corro a piedi verso le torri, ne vedo due di là, o sono quattro? Rasputin, l'equazione zayin, e zoppicava; Christina-teschio che gli aveva dato tutto... Mio Dio! E io, cosa mi avete fatto firmare?
Non ho mai visto questo stretto sentiero bianco. Le gambe mi si piegano, cado in ginocchio, sono mortalmente stanco. Per terra leggo, scritto col mio sangue, il mio ultimo teorema: "Con questo accordo sottoscritto davanti al Dragone io Bruno cedo a Julia la lettera shin e tutto ciò che ad essa è legato."
61 novembre
Cara Julia,
Ti scrivo per dirti che sono contento che tu ti sia rimessa in salute. La salute è il bene più prezioso, sai! Anche io sto alla grande, Abel mi ha trovato lavoro, dice che è un lavoro per persone speciali, e che io lo faccio benissimo. È orgoglioso di me. Ti posso dire un’altra cosa? Ti Voglio Bene! È importante dirlo, sai. D’ora in poi voglio dirti tutto, e sempre e solo la verità. Ma tu lo sai che cos’è la verità? È un aleph nero e lucente, sta dentro il taschino di Abel. E ha tre corni, come shin. Che rumore che fanno quando lui gira per Sephirot! Li sento anche dall’Archivio mentre metto i fascicoli uno sull’altro, tutti in ordine.
Ah, ma ecco Abel, ciao Abel. Ti ho preparato una sorpresa. Guarda che ti ho scritto:
6 1 AMICO!
Sorride. Mi porta sottobraccio a passeggio. Davvero quelli sono fringuelli? Tutto sai, Abel. Che sole stamattina. Poi c'è il rombo non di tuono, credo porti il tempo buono.
Emanuele Viola è nato a Roma il giorno 2^2^2 del mese 2. Da giovane ha programmato videogiochi, ora vive nei dintorni di Boston (USA) e si occupa di informatica teorica.
Ha un blog, e sta completando il libro “Matematica dell’impossibile”. C’è tutto sulla sua pagina, anche RiLL!
Paola Urbani ha vinto nel 2015 il premio Città di Castello con “Io e loro: una donna guarda gli uomini” (ed. Luoghi interiori), ha scritto vari libri e ha un cane.
Paola Urbani ed Emanuele Viola, madre e figlio, hanno scritto insieme molti racconti.
Nel 2008 hanno vinto il premio Altri Mondi, rivolto ad antologie e romanzi di genere fantastico. È seguita la pubblicazione dell’antologia a quattro mani “Codice Yetzirah” (ed. Montag), che prende il nome dal racconto con cui si sono aggiudicati il XIII Trofeo RiLL, nel 2007. Sempre al Trofeo RiLL, si sono classificati al secondo posto nel 2012, con “La ragazza che non sapeva contare”. Inoltre, sono stati fra i vincitori del concorso SFIDA, sempre bandito da RiLL, nel 2009 e nel 2010.
Leggi l'intervista a Paola Urbani ed Emanuele Viola realizzata in occasione del trentennale del Trofeo RiLL.